Scaffali invisibili: le parole che usiamo per classificare il mondo
I sistemi di classificazione possono influenzare la nostra percezione della realtà e delle persone: come possiamo renderli più equi e inclusivi?

Sulle parole: quelle che classificano
Le tassonomie sono strumenti potenti che utilizziamo per organizzare la realtà che ci circonda. Dal supermercato alla biblioteca, dalla classificazione degli animali a quella delle malattie, le tassonomie ci aiutano a dare un ordine al mondo e a comprenderlo meglio. Cosa succede quando, invece di semplificarci la vita, rischiano di creare barriere e discriminazioni? I sistemi di classificazione possono influenzare la nostra percezione del mondo e delle persone: come possiamo renderli più equi e inclusivi?
Tassonomie e linguaggio
Il linguaggio è lo strumento principale con cui costruiamo le tassonomie. Le parole che scegliamo per categorizzare la realtà non sono neutre, ma riflettono la nostra cultura, i nostri valori e i nostri pregiudizi. La pratica antica dell’eponimìa, per esempio, fa i conti con il mutare della sensibilità nel corso della storia: questa pratica di attribuire nomi di personaggi a periodi storici, movimenti letterari o artistici, invenzioni e scoperte, organi anatomici, malattie, eccetera è una messa in discussione da diversi anni e con diverse argomentazioni1.
«La biodiversità della Terra fa parte di un patrimonio globale che non dovrebbe essere banalizzato dall’associazione con un singolo individuo umano, qualunque sia il suo valore percepito», affermano autori e autrici dell’articolo Eponyms have no place in 21st-century biological nomenclature (2023). L’articolo è citato da Il Post in È sbagliato dare a una nuova specie il nome di una persona?, in cui si ricorda che «avere nomi scientifici stabili e universalmente accettati è una condizione fondamentale per una condivisione e una comunicazione dei dati chiara e inequivocabile nelle scienze moderne», e la questione non è da liquidare con superficialità: vi consiglio di leggerlo tutto.
Gli eponimi non sono solo una questione di linguaggio o di classificazione: riflettono una struttura di potere che privilegia certe figure e ne marginalizza altre. Spesso, gli eponimi celebrano individui che hanno avuto accesso a risorse e opportunità negate ad altri, perpetuando così disuguaglianze storiche. Ripensare l'uso degli eponimi cercando alternative che riconoscano il contributo di tutti alla conoscenza aiuta a non perpetuare stereotipi e discriminazioni.
Un caso curioso e molto poco celebrativo è quello che riguarda i nomi degli uragani, per esempio. Ti lascio due link, non recentissimi:
Why Hurricanes and Tropical Storms Were Only Named After Women (2017)
Research: Americans2 Less Fearful Of Storms With Female Names (2014)

Tassonomie e persone
Quando si tratta di persone, la classificazione è un’impresa problematica. Antiche distinzioni di classe o di casta, l’invenzione del concetto di “razza”, ogni sistema che crea un “noi” e un “loro” che tiene le persone a distanza in base a come appaiono, si comportano o in cosa credono, è il risultato di un’organizzazione gerarchica della conoscenza: una tassonomia del resto è questo, per definizione. Non è difficile capire perché applicare un sistema di classificazione a gruppi di persone o individui può essere riduttivo e disumanizzante.
La regola d’oro dovrebbe essere, naturalmente, rappresentare ciascuno nel modo in cui desidera essere rappresentato. […] Non c’è mai stata né mai ci sarà una tassonomia completa e sufficientemente sfumata in grado di riflettere la miriade di diversità in continua evoluzione che riguardano le persone.
Una tassonomia del genere sarebbe come la mappa del racconto Del rigore della scienza di Borges3, che descrive una società ossessionata dalla perfezione. I suoi cartografi producono una mappa così precisa e dettagliata da essere delle stesse dimensioni del territorio che descrive: impossibile da maneggiare e del tutto inutile. Una tassonomia di questa portata e dettaglio, in grado di descrivere ognuno esattamente per com’è, sarebbe insensata.
La tassonomia è necessariamente riduttiva, ma è un’astrazione necessaria. Se non abbiamo parole per descrivere gruppi di persone, in particolare quelli che vivono nell’oppressione o privi di diritti civili, non possiamo rappresentarle, neanche in forma di dati4.
[…] Le parole che usiamo per classificare le persone evolvono nel tempo: lo hanno sempre fatto e continueranno a farlo.
Questa lunga citazione viene da Diversity, equity and inclusion principles for custom taxonomies, un articolo del 2023 di Sharon Mizota, che si occupa di metadati inclusivi5. Mizota argomenta bene come, pur in assenza di un vocabolario condiviso che affronti tutti gli aspetti dell'identità in modo rispettoso e accurato, le tassonomie che riguardano le persone rimangono necessarie e propone un processo per svilupparle nel modo più inclusivo possibile.
Dalla tassonomia allo spazio delle informazioni
Le tassonomie non si limitano a classificare le informazioni, ma influenzano anche il modo in cui le organizziamo e le fruiamo, sia negli spazi digitali che in quelli fisici. La tassonomia è la base sulla quale si costruisce l'architettura dell'informazione, definendo la struttura, la navigazione (o il movimento nello spazio) e l'etichettatura dei contenuti (il modo in cui nominiamo le cose).
Pensiamo a una biblioteca: la tassonomia utilizzata per classificare i libri (per autore, area geografica, genere, argomento) determina l'organizzazione fisica dello spazio, influenzando la disposizione degli scaffali e la segnaletica. Un’organizzazione inclusiva, in questo caso, dovrebbe gestire lo spazio in modo da facilitare l'accesso e la fruizione dei libri a tutti, a prescindere dalle loro abilità fisiche o cognitive.
Ci può sembrare ovvio, forse, pensare a una biblioteca con una sezione per bambini e ragazzi che mette a disposizione sedie e tavolini della giusta altezza, divanetti e cuscini per accoccolarsi, una porta da poter chiudere per poter leggere ad alta voce senza disturbare. In una sezione per bambini, in genere, la classificazione dei libri è indicata anche attraverso una legenda di simboli, oltre che con le etichette testuali.

Forse è meno ovvio pensare, invece, che nei corridoi tra gli scaffali ci sia spazio sufficiente per passare con una sedia a rotelle, con le stampelle, con un passeggino; che le sedie abbiano sedute larghe e comode; che i tavolini delle sale di lettura abbiano abbastanza spazio per accogliere sedute diverse; che le prese di corrente siano raggiungibili senza dover strisciare carponi sotto un tavolino.
Gli spazi si possono organizzare in modo inclusivo e accessibile se nel progettarli si è pensato di farlo. Il modo in cui classifichiamo le cose è il primo passo per abilitare questa opportunità, non solo su uno schermo, a vantaggio di tutti.
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Esercizi
La prossima volta che vai al supermercato guarda dove si trovano i famosi ovetti al cioccolato con sorpresa, e chiediti perché sono proprio lì.
Trova il menu di un ristorante e organizzalo secondo categorie diverse dai soliti momenti del pasto (antipasto, primo, secondo, dolce). Che prospettiva viene fuori? Che opportunità offre?
Crea un museo di oggetti quotidiani: scegli 20 oggetti comuni e crea almeno tre diversi percorsi espositivi usando criteri inaspettati. Scrivi le didascalie per ogni oggetto in base al sistema di classificazione che hai usato. Come cambia il significato degli oggetti in base al nuovo contesto?
Un libro
Ti consiglio un libro che sembra avere quasi niente a che fare con il tema, se non un titolo calzantissimo, I nomi che diamo alle cose, di Beatrice Masini (sì, quella dell’intervista dell’anno scorso). «Un romanzo che parla della cura degli altri e delle cose, […] del peso da dare a ciò che si fa e alle parole che si scelgono per definirlo.»
“Se tutte le persone intelligenti fossero anche buone, il mondo sarebbe un posto migliore.”
Fatti una lista di lettura di tutte le citazioni in esergo. Prego.
Qualcosa di utile
Ok, la mia è un’autodenuncia. Si può essere peggio di così? Ho scoperto solo un paio di settimane fa come mandare messaggi vocali su WhatsApp senza dover tenere premuto il pollicione sul microfono. Pensa quanti pettegolezzi6 ho dovuto ripetere più di una volta perché il dito scivolava sullo schermo, e tutto il mio malignare si perdeva come lacrime nella pioggia. Ora, hai due scelte:
puoi fingere di averlo sempre saputo e prendermi in giro, lo accetto;
puoi guardare lo screenshot seguente e batterti la mano sulla fronte dicendo “eeeecco!”. Tanto nessuno lo saprà mai.
Tre link
How the emotional journey map helps to shape the Tone of Voice
Lettura, la semplificazione eccessiva dei testi impedisce lo sviluppo metacognitivo. Ecco come trovare il giusto equilibrio: sono impazzita, un link da Orizzonte Scuola? In questo caso qualcosa di buono c’è, non siamo dalle parti del solito grottesco luddismo.
In ascolto
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Note
Per esempio: il Volt è unità di misura elettrica che prende il nome da Alessandro Volta; Biro è il nome della penna inventata da László József Bíró; Magnolia, in omaggio al botanico francese Pierre Magnol; Camelia, dal missionario Georg Joseph Kamel e così via, verso l’infinito e oltre.
Trovi la traduzione in italiano in Racconti brevi e straordinari, Adelphi.
La traduzione è mia e piuttosto libera: ti consiglio di leggere l’articolo in originale, se puoi.
I pettegolezzi sono l’unico uso accettabile per i messaggi vocali. Mi raccomando.
Super puntata! E poi quante cose imparo qua dentro: tipo la classificazione Celbiv, ma pure il magheggio del ditino per i vocali dentro WhatsApp.
A proposito di tassonomie creative, suggerisco due albi illustrati che fanno meravigliosamente questo lavoro: "Zoo logico" di Joëlle Jolivet con gli animali; "Cose così cose cosà" di Bernadette Jervais con gli oggetti.
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