Un viaggio inaspettato
Cosa c’è di meglio della formula magica che promette di farti creare storie in grado di coinvolgere tutti?
Questa è stata la settimana in cui ho cercato di fare i conti con la scomparsa di un caro amico, Giuseppe Granieri, ma non ci riuscirò tanto presto. Quindici anni di prese in giro, soprannomi, tentativi riusciti e falliti di riprendere a giocare a World of Warcraft, musica, libri, insegnamenti, esperimenti, discussioni infinite, notturne, diurne, alcoliche, sobrie. Risate, passione, divertimento, tigna, incomprensioni, chiarimenti, vagoni di pazienza. Se le cose che scrivo qui ti piacciono, sappi che il metodo per costruirle me lo ha insegnato lui. Questo vezzo di darti del tu, che oggi forse passa inosservato, in altri tempi era un suo marchio di fabbrica, una granierata. Consideralo un omaggio.
In questi giorni molte persone hanno ricordato gg (Giuseppe, online, non lo chiamava nessuno), nel modo che avrebbe preferito: interrogandosi su come riavviare la riflessione sulla rete. I tre link di oggi sono dedicati alla raccolta di alcuni di questi post. Un botta e risposta sui blog, come nel 2006. Come nel 2006, ti consiglio di leggere anche i commenti.
Ciao gg. Grazie per avermi dato una tua Scroll of Resurrection quella volta che ero cascata in acqua come una scema e mi ero fatta mangiare dai pesci, in uno dei miei primi dungeon. Non hai idea di quanto vorrei poter ricambiare.
Sulle parole: un viaggio prevedibile
Insegnare pigramente il viaggio dell’eroe non è solo sciocco, ma controproducente. Ogni volta che lo facciamo tramandiamo una forma di dominio, e approfittando dello smarrimento dei viventi rubiamo loro ciò che di quello smarrimento sarebbe la ricompensa, cioè la libertà.
Alessandro Baricco
È un classico identificare le storie con il viaggio1, e non da ora: come minimo dai tempi di Ulisse. Non c’è niente di male, nei cliché, quando ci aiutano a costruire cornici per comprendere il mondo, noi stessi e l’idea che del mondo abbiamo, a patto che ci ricordiamo di rinegoziarne i confini, di metterli in discussione, per evitare di rimanerci intrappolati.
In una delle ultime chiacchierate con gg, a gennaio, ci dicevamo: “Che fai Leti?” “Studio per un corso che devo preparare, sono ancora in alto mare. E tu?” “Studio un po’ di narratologia, as usual”. Ci capitava di fare i compagni di studio a distanza, meno di un tempo, ma ancora, di tanto in tanto. L’idea che avevo per questo numero di Alternate Takes, quindi, mi sembra appropriata per il mio bisogno di ricordare le nostre belle conversazioni. Parliamo, quindi, del viaggio dell’Eroe.
Il viaggio dell’Eroe
Il libro che più di ogni altro ha segnato nell’ultima trentina d’anni l’idea collettiva di cosa sia la narrazione l’ha scritto uno sceneggiatore americano, Christopher Vogler, agli inizi degli anni novanta. Si intitola Il viaggio dell’eroe (The Writer’s Journey: Mythic Structure for Storytellers and Screenwriters, 1992). Chiunque abbia fatto una scuola di storytelling o di creative writing si è ritrovato a studiarlo, e la cosa non deve sorprendere: in un tipo di insegnamento che fatica a trovare basi “scientifiche”, sfumando spesso, con costernazione generale, in una sorta di impressionismo sacerdotale, il libro di Vogler dettava regole, disegnava schemi, assicurava risultati […]
Così dice Alessandro Baricco in “Brevissimo saggio su Il viaggio dell’eroe di Christopher Vogler”, in La via della narrazione.
Il viaggio dell’eroe di Christopher Vogler riprende e modifica leggermente la teoria originaria che Joseph Campbell ha espresso in L’eroe dai mille volti, testo più complesso e ben più problematico della versione di Vogler. Sostiene che tutte le narrazioni, consapevolmente o no, ricalchino gli antichi modelli del mito e che tutte le storie possano essere interpretate dal punto di vista del viaggio dell’Eroe, cioè del “monomito”2, di cui L’eroe dai mille volti espone i principi. Dice Vogler:
Il modello del viaggio dell’Eroe è universale, esiste in tutte le culture e in tutti i periodi storici. È infinitamente vario, proprio come l’umanità, ma immutabile nella sua struttura di base. È fondamentalmente lo stesso insieme – differente solo nei dettagli da cultura a cultura – di elementi costanti, che continuano a scaturire dagli angoli più profondi della mente umana.
Nel proseguire di questo ragionamento Baricco individua «una tesi a cui ci si è abituati in modo troppo remissivo. Invero [Vogler] pronuncia un’enormità.» Vogler infatti afferma:
Le narrazioni costruite secondo il modello del viaggio dell’Eroe esercitano un’attrattiva che può essere percepita da chiunque perché scaturiscono da una fonte universale, l’inconscio collettivo, e riflettono preoccupazioni universali.
E Baricco osserva:
Dice che le regole del viaggio dell’eroe non sono un’abile organizzazione del materiale narrativo, ma una struttura a priori proveniente dall’inconscio collettivo: a saperle usare, si ottiene un potere universale perché non alcuni umani, ma tutti, ritrovano in esse le proprie domande, il proprio modo di stare al mondo e in generale le proprie origini. Siamo tutti eroi e tutti abbiamo un viaggio da compiere e da cui tornare.
E continua:
In realtà, si può affermare con una certa sicurezza che il viaggio dell’eroe, lungi dall’essere una sequenza narrativa universale e archetipica, è il chiaro prodotto, storicamente determinabile e completamente artificiale, di un pensiero dominante, che da generazioni e generazioni tramanda una vicenda-madre in cui è contenuto il Dna mentale ed etico utile alla dominazione. Lungi dall’essere il prodotto di un inconscio collettivo, la catena narrativa del viaggio dell’eroe è lo strumento con cui la lingua del dominio tenta di assorbire lo scandalo dell’inconscio individuale. Fingendo di incarnare le preoccupazioni universali, essa fissa più che altro le preoccupazioni del pensiero dominante.
[…]
Il repertorio di figure mentali con cui è costruito il viaggio dell’eroe coincide interamente con l’epopea concettuale di una precisa forma di dominio, storicamente affacciatasi all’inizio del XIX secolo: il mito dell’eroe che cambia il mondo, l’ossessione per l’individualismo, il culto indiscusso del progresso, l’idea che a generarlo sia il superamento di una serie di prove, il bisogno strutturale di un nemico, la necessità dell’ottimismo e quindi del lieto fine, e perfino la convinzione che le cose accadano in forma lineare e secondo un’architettura ordinata e razionale: chi non riconosce il marchio di fabbrica di una precisa civiltà produttiva e al contempo il suo debito evidente verso un’idea militare, guerriera dell’esistenza?
Il viaggio dell’eroe è una struttura che promette di offrire la chiave interpretativa di tutte le storie e, ribaltando la prospettiva, una formula sicura per produrne altre, combinandone gli elementi e variandone i dettagli. Fidati di quello che ha detto Baricco, ma se vuoi una mia semplificazione drastica, il viaggio dell’eroe è uno strumento, un martello: quando hai un martello in mano, tutti i problemi finiscono per sembrarti chiodi.
La prospettiva del martello
Nell’introduzione per il venticinquesimo anniversario di Il viaggio dell’Eroe, Vogler ricorda la fortuna del suo libro adottato in una grande varietà di discipline, dal marketing al product design. È innegabile: non c’è manuale di storytelling che non ti proponga questo schema; anche nei corsi di user experience si ricorre al viaggio dell’eroe per ragionare sull’esperienza delle persone con prodotti e servizi. Del resto, marketing e design hanno a che fare (in modi diversi) con le esperienze delle persone; le esperienze, a loro volta, sono il prodotto di ricordi, sentimenti, emozioni: le storie sono un motore potente per far funzionare questa macchina. Cosa c’è di meglio, allora, della formula magica3 che promette di farti creare storie in grado di coinvolgere tutti?
Se consideriamo valida la critica di Baricco, però, rimane una questione aperta: cosa stiamo lasciando fuori4, continuando a raccontare storie solo in questa chiave (o se preferisci, solo con questo martello)? Quali narrazioni non sono contemplate, chi rischia di non riconoscersi, di rimanere fuori? Quanto è esteso questo rischio, se il modello si estende a molte discipline? Quali stereotipi rinforza5?
Il viaggio dell’Eroe è schematico, rassicurante: ci dà la soddisfacente sensazione di comprendere l’anima delle storie e di poterla replicare con un set di regole pronto all’uso. Non c’è niente di male in questa semplificazione, a patto che ci ricordiamo di ampliare lo sguardo sulla complessità da cui deriva, e non commettiamo l’errore di considerarla esaustiva e unica.
Vuoi lavorare sulla chiarezza dei tuoi testi?
Esercizi
Niente esercizi, oggi. Immergiti in una bella storia, e lascia stare gli eroi.
Un libro
– E adesso? Cosa diremo agli angeli, quando ci accoglieranno alle porte del cielo?
– La verità, che altro…
– La verità, sì. Ma noi intendevamo… cosa gli diremo per intrattenerli, per fare un po’ di scena, perché rimangano colpiti…
– Beh, parlate d’amore.
– No, l’amore non funziona più. Non li scuote.
– Allora buttatevi su un dolore più sottile.
Qualcosa di utile
Grazie a Wayback Machine puoi ancora consultare le pagine di bookcafe: gg l’ha fondato nel 1996; è stato uno dei primi siti letterari in Italia, poi è diventato il suo blog. Per il suo ruolo fondamentale nella conservazione della memoria della rete, mi sento di fare almeno una piccola donazione all’anno all’Internet Archive. Se puoi, considerala anche tu.
Tre link
Ne è valsa la pena, sì (o del testimone che abbiamo in mano), di Sergio Maistrello
Un puntino piccolo (una risposta a Sergio) di Massimo Mantellini
La cultura digitale ripartendo da qui (un dialogo a distanza con Sergio e Massimo), di Giovanni Boccia Artieri
In ascolto
Se usi Spotify puoi salvare la playlist.
Potresti voler leggere anche
Note
Un viaggio inaspettato è il sottotitolo che accompagna il primo film di Lo Hobbit; il titolo originale del libro è The Hobbit, or There and Back Again, sarebbe addire “andata e ritorno”. Sul modo in cui si ritorna dopo essere andati sta un po’ il senso del partire.
Il monomito di Campbell è un modello che ha sollevato molte critiche, dall’etnocentrismo alla prospettiva maschilista, al cliché narrativo.
Sulla formula magica per creare le storie può piacerti ascoltare l’episodio su Hollywood del podcast di Nicola Lagioia, in cui si parla del cinema come fabbrica dei sogni. Non dimenticare che è proprio questo il contesto da cui arriva Vogler.
Per esempio. Alice Meichi Li, illustratrice, aveva detto a un Comic Con intorno al 2014: «Alice nel paese delle meraviglie e Dorothy nel Mago di Oz partono come eroine solo per ritornare alla situazione di partenza. Dopo la vittoria, tornano a casa. Bene, siete a casa! Non è cambiato niente. Non è stata poi una gran cosa, no?» E poi: «La differenza principale tra il viaggio dell’eroe e quello dell’eroina è che mentre lui aspira a diventare un maestro, lei aspira a uguaglianza e normalità».
Il filone di critica femminile, per non dire femminista, al viaggio dell’Eroe è uno dei più netti. In genere è più rivolto a Campbell che a Vogler, ma in ogni caso non mi sembra puntare a mettere radicalmente in discussione la teoria, quanto ad aprirla a prospettive più inclusive.
Quando mia figlia mi chiede “Mamma, ma perché nei cartoni c’è sempre un cattivo?” io ogni tanto ci penso, alla fabbrica di storie della Disney (e compagnia) e ai meccanismi di racconto che rafforza, e all’effetto che fanno le aspettative disattese rispetto al modello a cui ci si è abituati, quando si incontrano storie più complesse.
Forse ora mi è un po' più chiaro perché ho sempre avuto delle resistenze al viaggio dell'eroe. Grazie Letizia di questo punto di vista!
Uh, Letizia! Che prurito che mi veniva, qualche anno fa, quando - anche nella scuola - tutti hanno iniziato a parlare di storytelling!! Come se fosse stata una scoperta d'oltreoceano da sfruttare a più non posso. Della narratologia, della sua complessità, quanto potremmo invece stare ad esplorare...