Non darmi semplicità, voglio chiarezza
Nella complessità in cui viviamo immersi barattiamo la chiarezza con la semplicità e trascuriamo la visione di insieme. La chiave, invece, è da cercare nell'organizzazione chiara delle informazioni.
Do il benvenuto alle nuove persone che si sono iscritte in queste due settimane! Nel salutarvi approfitto di ricordare che il 3 marzo uscirà la terza intervista della serie “Scrivere di”: un appuntamento mensile con professionisti e professioniste che lavorano con la scrittura.
Non mi perdo in preamboli: questo numero di Alternate Takes è già abbastanza complesso, spero non confuso.
Non ricordo di aver mai sentito qualcuno dire “come vorrei che fosse più complicato!”, mentre “come vorrei che fosse più semplice!” mi capita di sentirlo così spesso che mi sono chiesta: ma cosa vuol dire “semplice”? Cosa sentiamo il bisogno di risolvere quando desideriamo la semplicità?
Sulle parole: chiaro, non semplice
Treccani definisce semplice ciò «che è costituito di un solo elemento e non può risolversi perciò in ulteriori componenti». Potrei pensare, quindi, che quando cerchiamo la semplicità desideriamo avere a che fare con una cosa per volta, per esempio. Invece ci troviamo in genere davanti a cose complesse o, peggio, complicate. Tracciamo meglio i confini.
Complicato: non semplice né facile; confuso, intricato […]
Confuso, questa è la sfumatura a cui fare attenzione: le cose complicate mancano di chiarezza, non ci permettono di orientarci.
Complesso: che risulta dall’unione di più parti o elementi (contr. di semplice): una questione complessa, un ragionamento complesso; che ha diversi aspetti sotto cui si può o si deve considerare e di cui bisogna tener conto: è un problema complesso […]
La complessità non è per forza anche complicata. Se consideriamo la parola “complesso” non come aggettivo ma come sostantivo, il valore positivo della complessità emerge in modo più immediato. Pensa a un complesso musicale: un’orchestra, per esempio. Un insieme di più elementi con funzioni diverse, unito per dare vita a una partitura. Vuoi aumentare la complessità? Pensa tutte le parti che servono a mettere in scena un’opera lirica. Non a caso Barenboim diceva, in un’intervista del 20101:
Complesso è un miscuglio, un insieme di cose che possono essere anche molto semplici, ma che insieme generano qualcosa di nuovo e completamente diverso, da cui a volte non sai cosa aspettarti. Complicato è qualcosa di macchinoso e che non possiede nessuna logica interna.
Queste parole mi hanno ricordato la definizione di creatività di Poincaré su cui ha tanto ragionato Annamaria Testa:
In sintesi, Poincaré definisce la creatività come capacità di unire elementi preesistenti in combinazioni nuove, che siano utili, e dice che il criterio intuitivo per riconoscere l’utilità della combinazione nuova è “che sia bella”. Ovviamente non sta parlando di bellezza in senso strettamente estetico, ma di qualcosa che ha a che fare con l’eleganza così come la intendono i matematici: armonia, economia dei segni, rispondenza funzionale allo scopo.
La complessità è incredibilmente affascinante, ma non è semplice da maneggiare (piacere, sono Madame De Lapalisse). Come la mettiamo, quindi, con il nostro bisogno di semplicità?
Un’impresa da designer
In Vivere con la complessità2 Donald Norman mette subito in chiaro:
Uso la parola “complessità” per descrivere uno stato del mondo. L’aggettivo “complicato” descrive uno stato mentale.
e più avanti:
Il buon design può aiutarci a dominare la complessità, non rendendo le cose meno complesse (perché la complessità è necessaria), ma gestendo la complessità.
Tornando all’idea di bisogno e ricerca della semplicità, Norman ci aiuta a riconsiderare le cose.
Cerchiamo una vita ricca e soddisfacente, e la ricchezza va di pari passo con la complessità. I brani musicali, i racconti, i giochi e i libri che amiamo sono ricchi, soddisfacenti e complessi. Abbiamo bisogno di complessità anche quando desideriamo ardentemente semplicità.
Per Norman la ricerca della semplicità è un paradosso: «in molti casi la vita è più semplice se si hanno pochi utensili complessi, multiuso, anziché tutta una schiera di utensili specializzati». Pensa alla differenza tra avere in tasca uno smartphone che ti permette di telefonare, fotografare, ascoltare musica, prendere brevi appunti e fare luce se sei al buio e avere invece in tasca un telefono, una macchina fotografica, un lettore mp3, un taccuino con una penna e una torcia.
La complessità può essere dominata, ma per farlo bene è necessario uno sforzo notevole. […] Una minore complessità per il guidatore è accompagnata da una maggiore complessità nel meccanismo sottostante.
La sfida è gestire la complessità in modo che non sia complicata: la semplicità è uno stato mentale, fortemente legato alla comprensione. Aumentare la percezione di semplicità di qualcosa significa sforzarsi di renderla comprensibile.
Il ruolo delle parole
Quando abbiamo bisogno di ricordare una grande quantità di informazioni semplici, banali persino, per aiutarci finiamo per tirarle fuori dalla nostra mente, in genere scrivendole. Prova a pensare alle indicazioni in una stazione o in un aeroporto: come riesci a trovare il punto di ritiro bagagli o la fermata dell’autobus che porta in città? Ti guardi intorno e cerchi le informazioni disseminate nello spazio.
Per poterti orientare hai bisogno di trovare le informazioni al momento e al posto giusto: informazioni ben organizzate, che tengono conto dei modelli mentali di chi le incontra, fanno la differenza tra orientarsi o perdersi. L’ambiente di un aeroporto è complesso, ma un ambiente complesso ben organizzato può essere comunque chiaro da capire, leggibile: così la sua semplicità percepita aumenta. Le parole sono un elemento fondativo: sono ciò che permette alla buona struttura di esprimersi e di essere – letteralmente – letta.
Sui siti degli aeroporti di Milano Linate e di Trieste si trovano le mappe con i servizi disponibili. Le informazioni da esporre sono simili, ma la mappa dell’aeroporto di Trieste è organizzata in modo da aiutarci a cogliere a colpo d’occhio la suddivisione degli spazi.
Gestire la complessità attraverso il linguaggio può voler dire, per esempio, lavorare sulla sintesi, sulla scelta di parole comprensibili per un numero più ampio di persone, sulla coerenza. Uno sforzo che sposta la fatica su chi scrive per aumentare le opportunità di comprensione di chi legge.
Scrivere per sistemi complessi
I sistemi complessi sono sviluppati per raggiungere obiettivi ampi e non strutturati o per flussi di lavoro non lineari. Le persone non entrano in un punto per uscire da un altro al termine dell’attività, ma accedono più volte, per diverse attività e per usare diverse componenti in relazione tra loro.
Facciamo qualche esempio.
Una persona apre l’app di Just Eat, inserisce il suo indirizzo, cerca o sceglie un ristorante dalla lista di quelli disponibili, seleziona i piatti che vuole ordinare, va al pagamento e aspetta che arrivi l’ordine a casa. Just Eat non è un sistema complesso: si entra in un punto – la ricerca di un ristorante da cui ordinare – per uscire da un altro – conclusione dell’ordine. Le persone hanno uno scopo: ordinare cibo a domicilio.
Una persona apre il sito dell’INPS. Cosa deve fare? È un pensionato che vuole verificare la propria situazione. È una donna che deve avviare le pratiche per la maternità. È un operaio che deve avviare la pratica di dimissioni dal posto di lavoro. È l’impiegata di un’impresa che deve avviare le procedure per la cassa integrazione. È un padre che cerca informazioni sugli assegni familiari. Decisamente INPS è un sistema complesso, rivolto a persone con intenti molto diversi e con capacità di comprensione e modelli mentali estremamente vari.
Un architetto apre il software per la gestione del cantiere edile. Cosa deve fare? Deve occuparsi dei preventivi sugli impianti. Deve preparare un capitolato d’appalto. Deve elaborare un computo metrico. Il software è un sistema complesso, usato da persone altamente qualificate.
Il linguaggio di questi tre sistemi non può essere lo stesso. A parità di chiarezza nell’organizzazione delle informazioni, Just Eat potrà concedersi più libertà nell’uso del linguaggio; INPS dovrà lavorare intensamente sul plain language; il gestionale per la contabilità del cantiere edile dovrà curare con attenzione il linguaggio specialistico, che può rispondere ai modelli mentali delle persone che lo useranno.
Semplice, non semplicistico
Un approccio semplicistico chiederebbe di usare un solo strumento per tutto. Nell’ambito del design, si confonde spesso la semplicità con la chiarezza, come ricorda Arango:
La semplicità superficiale non è l'obiettivo del design. Alcune cose sono, per natura, complesse. In questi casi si dovrebbe puntare alla chiarezza più che alla semplicità. Le persone sarebbero più soddisfatte se ci sforzassimo di rendere i sistemi complessi più comprensibili anziché che solo semplici.
Una ricerca ottusa della semplicità rimane, appunto, ottusa. Dice ancora Arango:
La semplicità non è un buon principio a prescindere. Le cose possono essere semplici e anche inadeguate, se si omettono gli elementi sbagliati. Alcune cose sono intrinsecamente complesse; ridurle a uno stato più semplice può comprometterne l'utilità o sacrificare la loro essenza.
Nella trascrizione del suo bell’intervento del 2019 ad Architecta, Raffaele Boiano ricorda che in genere quello che finiamo per omettere, per lasciare fuori dal quadro, è il conflitto.
Per dirla con le parole di Jorge Arango, abbiamo idolatrato la semplicità (con la complicità di John Maeda) e non la chiarezza. Ma se rimuoviamo le cuciture, rimuoviamo il confine e quindi con esso il conflitto. È tutto liscio, non ci sono problemi e facciamo le stesse cose di prima con meno sforzo.3
[…]
Come designer dobbiamo esplorare il conflitto e decidere da che parte stare. Avere chiare non solo intenzioni che orienteranno la nostra progettazione ma tutte le opportunità che abbiamo deliberatamente deciso di scartare.
Per fare questo chi progetta deve essere capace di osservare la complessità, ossia l’insieme di elementi che agiscono in un contesto, e di vedere anche cosa si muove ai confini di quel contesto. Deve trovare la chiave più adatta per rendere la complessità comprensibile, organizzando, mostrando ed esprimendo le informazioni secondo i modelli mentali più appropriati.
La confusione tra semplicità e chiarezza è una trappola: inadeguata e consolatoria, ci impedisce di affrontare con strumenti all’altezza la realtà di cui facciamo parte.
Vuoi lavorare sulla chiarezza dei tuoi testi?
Esercizi
Prova a semplificare un testo, scegli tu quale: un articolo di giornale, una ricetta per preparare il polpettone, una comunicazione dalla scuola dei tuoi figli o, se vuoi fare qualcosa di davvero difficile, scegli un testo scritto da te. Cosa elimini e cosa tieni? Quali parole o frasi ti sembrano complicate? Quanta fatica ti costano queste scelte? Chiediti il perché di ogni decisione.
Vai sul sito delle Gallerie degli Uffizi. Prova a svolgere questi compiti: 1. comprare un biglietto per una visita; 2. cercare informazioni per organizzare una gita con una classe; 3. capire come accedere alla biblioteca. Hai trovato qualcosa di poco chiaro? Dove è successo e da cosa ti sembra che sia dipeso? Bonus: disegna il tuo percorso ed evidenzia dove ha funzionato bene e dove no.
Osserva di nuovo le mappe degli aeroporti di Linate e Trieste: fai una lista di cosa, secondo te, rende più chiara una mappa dell’altra.
Hai provato a svolgere uno degli esercizi e vuoi parlarmene? Rispondi a questa email o in un commento: sono contenta di discuterne insieme.
Un libro
Per la categoria LIBRONI oggi consiglio Understanding Context, di Andrew Hinton: uno strumento potente per comprendere e risolvere le sfide dell’ambiguità e della complessità, a partire da una migliore comprensione del contesto. Una buona parte del libro è dedicata al linguaggio.
Design has traditionally been centered on objects and physical environments. There is no “language design” discipline — it’s instead called “writing.” There’s nothing wrong with that, but we have to come to grips with the reality that language is a more important material for design than ever, especially with the arrival of pervasive, ambient digital systems.
Qualcosa di utile
Sono sempre alla ricerca di buone pratiche per aiutare le persone a rompere il ghiaccio e sbloccare i pensieri4. Per questo ho una cotta per i giochi da tavolo di Ludic: si prestano benissimo a essere di ispirazione anche al di là del manuale delle regole. Te ne consiglio due: Idea!, che mi ricorda certi meccanismi di La grammatica della fantasia di Rodari, e Scrittori, a cui perdoniamo il maschile sovraesteso, perché è un esercizio molto versatile e davvero meno banale di come sembra.
Tre link
- racconta come ha lavorato per migliorare il processo di scrittura della sua newsletter, . Trovo sempre molto generoso chi ci permette di sbirciare dentro al cofano del proprio lavoro: grazie!
Altre considerazioni per insospettirci quando si sente parlare di semplicità con troppo entusiasmo: The Case Against Simplicity
Il rasoio di Occam e il potere della semplicità: perché potresti trovare interessante la biologia dei sistemi complessi.
In ascolto
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Note
Intervista che non ho potuto verificare: dovrebbe essere del 31 maggio 2010 per Che Tempo Che Fa, ma guarda gli effetti delle scelte tecnologiche lungimiranti della Rai. Se ti riesce di trovarla e me la giri ti ringrazio.
L’edizione che ho è del 2011: mentre leggevo sono rimasta colpita dall’eleganza della traduzione, non a caso di Virginio Sala. Chissà perché non è la norma che saggi di questo tipo siano tradotti da persone competenti nella materia, oltre che nella lingua.
John Maeda ha scritto Le leggi della semplicità, un librino agile e interessante, amatissimo da chi lavora nel design. Il problema non è il libro, ma chi lo interpreta troppo alla lettera. Niente di più rassicurante che avere un riferimento che suona persino come normativo, per l’illusione della semplicità.
Ma chi penso di prendere in giro, IMPAZZISCO per i giochi da tavolo, questa è la verità. Poi anche il resto, certo.
"How to make sense of any mess" - Abby Covert.
Altra fonte speciale riguardo questo tema. Anche lei nelle primissime pagine del libro definisce subito il fatto che una cosa può essere semplice o complicata, ma la complessità è ovunque.
Grazie, Letizia. Anche dopo aver letto questo tuo post, non posso fare a meno di paragonare ciò che porti tu con la mia esperienza didattica. Pensa che ho sempre 'accolto' gli studenti in prima media raccontando che ciò che avremmo incontrato nei tre anni sarebbe stata la complessità! Proprio perché 'fare' matematica dopo la primaria significa scoprire RELAZIONI (ah... quanto amore per 'quel' Poincaré!), mettere in ordine INFORMAZIONI, creare e svolgere TESTI. La grammatica di numeri e forme è del tutto affine alla sintassi del periodo...