Scrivere per tutti: intervista ad Alice Orrù
«Molti dei testi che scrivo e traduco arriveranno a un pubblico plurale e variegato: questa consapevolezza mi porta a lavorare con grande rispetto delle persone che potrebbero leggermi.»
Scrivere di è una serie di interviste a professionisti e professioniste che lavorano con la scrittura: arriva ogni prima domenica del mese ed è un ramo di Altenate Takes, la mia newsletter.
In questo appuntamento incontriamo
. Alla domanda “cosa posso leggere o chi posso seguire riguardo il linguaggio inclusivo e accessibile?” rispondo da anni con il suo nome, senza dubbi. Precisa, mai superficiale, mai con toni sopra le righe, per me è una fonte fondamentale di conoscenza e comprensione di temi cruciali per una scrittura chiara e rispettosa.Insieme a lei e ad altre persone brillanti come Valentina Di Michele,
, ed stiamo lavorando al Festival DiParola: un evento sul linguaggio chiaro, inclusivo e accessibile che si terrà online e in presenza a L’Aquila, il 3 e 4 ottobre. L’evento è gratuito: se puoi fare una donazione ci aiuti a organizzarlo meglio per tutti e tutte, e hai accesso a molte opportunità, come la partecipazione in presenza ai workshop. Io ne terrò uno sui vantaggi della precisione nel linguaggio: leggi i dettagli.L’intervista ad Alice è un ottimo antipasto: ti lascio alle sue risposte.
Ti piacciono queste interviste? Falle circolare!
Ciao Alice, mi parli di te?
Sono Alice Orrù, sarda emigrata in Catalogna da dodici anni. Lavoro come traduttrice tecnica, scrittrice di contenuti per il web e formatrice sui temi dell’inclusione e dell’accessibilità del linguaggio. Dal 2021 curo una newsletter che si chiama
, una meravigliosa espressione spagnola che infonde speranza: è stata la prima newsletter in italiano a focalizzarsi sui temi della comunicazione inclusiva e accessibile. Nel 2022 ho scritto, insieme a Valentina Di Michele e Andrea Fiacchi, Scrivi e lascia vivere. Manuale pratico di scrittura inclusiva e accessibile (ed. Flacowski).Mi racconti del tuo lavoro e del ruolo che ha la scrittura nelle tue giornate?
Mi occupo di scrivere contenuti digitali, con un riflettore sempre puntato sui temi dell’accessibilità e dell’inclusione testuale. Scrivo e traduco (dall’inglese all’italiano, a volte dallo spagnolo) testi per siti web, app o software. Mi muovo soprattutto in ambito tech e faccio spesso formazione aziendale sulla scrittura e sulle traduzioni accessibili.
Da tre anni e mezzo scrivo anche Ojalá, una newsletter che parla di comunicazione inclusiva, accessibilità e storie variopinte: è il mio canale di scrittura libera, che unisce gli argomenti che mi appassionano sia dal punto di vista personale che professionale.
Come gestisci la ricerca prima della scrittura? Quanta parte del tuo lavoro occupa?
Nella mia quotidianità la fase di ricerca occupa tantissimo spazio; anzi, ammetto che è una delle parti del lavoro di scrittura che preferisco. Per la scrittura della newsletter non riesco a quantificare quanta parte occupi perché si tratta di un lavoro costante: mi lascio guidare dalla curiosità, salvo e catalogo articoli e post che trovo sul web, libri che leggo ma anche copy che trovo tra le strade delle città.
C’è poi la ricerca che faccio per prepararmi a progetti specifici. Per esempio, quando devo scrivere i testi per il sito web di un cliente che produce un software, le fasi di ricerca di solito sono:
leggere la documentazione già esistente sul prodotto del cliente
installare e usare il software
fare una (o più) videochiamate con il cliente per risolvere dubbi o capire più nel dettaglio il funzionamento di una caratteristica tecnica importante
studiare i siti dei suoi concorrenti o di prodotti affini per capire che linguaggio si usa e come posso differenziare i miei testi.
Se invece devo scrivere testi più creativi, non ho dei pattern di ricerca e mi muovo diversamente in base al tema. Posso attingere dal mio archivio su Telegram, dalla mia preziosa lista di preferiti del browser, dai post che salvo su Instagram e dalle mie portentose doti di ricerca su Google (sì, bando all’umiltà in questo caso!).
Come selezioni fonti e informazioni e come le organizzi per scrivere?
Visto che la fase di ricerca è la mia preferita, mi sono organizzata in modo da avere sempre a portata “di dito” un canale per non perdere le fonti che reputo interessanti.
Ho un canale Telegram privato chiamato Idee, dove colleziono i link alle letture web inerenti ai temi della newsletter e che credo possano tornarmi utili in futuro. Su Notion ho una pagina dedicata alla bibliografia, dove raccolgo i titoli di libri che leggo, divisi per argomento, e segno quelli che vorrei procurarmi per approfondire. Su Dropbox ho una cartella dove raccolgo le foto di messaggi interessanti che trovo quando vado in giro e un’altra per gli screenshot di copy e schermate utili che trovo sul web.
Ci sono poi tutti i contenuti con cui vengo a contatto grazie alle persone che seguo sui social, in particolare Instagram, LinkedIn e Substack. Ho delle persone di riferimento, che stimo molto sia per la qualità dei contenuti che scrivono sia per la loro attenzione nella selezione delle fonti. Mi piace molto l’idea che i social aiutino a creare reti virtuose, dove le persone si scambiano informazioni che possono risultare utili per i reciproci lavori.
Come trovi la concentrazione? Se ti blocchi cosa fai per ritrovarla?
La cosa che faccio sempre, quando mi siedo a scrivere, è indossare le cuffie. Anche senza musica. Può sembrare strano, ma è un gesto che dà inizio alla mia sessione di scrittura: non ho bisogno di musica o altri suoni per trovare la concentrazione, ma il semplice gesto di attutire il mondo fuori indossando le cuffie mi aiuta.
Se poi la concentrazione se ne va, ho imparato a non rincorrerla e a non forzarmi. Mi alzo, vado in cucina a prendere dell’acqua (perché sarà sicuramente passato troppo tempo dall’ultima volta che mi sono idratata) oppure, se non ho scadenze strette, esco a passeggio con il mio cane. Di solito, quando torno, sono di nuovo pronta a indossare le cuffie e a reimmergermi nella scrittura. Se invece la concentrazione non torna, cambio attività, spesso mi metto a tradurre stringhe di software perché mi rilassa.
Quali sono le sfide che affronti nell’uso del linguaggio e come le risolvi?
Vivo in Catalogna da dodici anni, in casa parlo spagnolo e italiano, nel mio paesello tutti parlano catalano, mentre con molti clienti uso l’inglese. La mia comfort-lingua, nel tempo, è diventata una sorta di itagnolo con incursioni inglesi: in famiglia ci capiamo, ma sul lavoro devo ovviamente prestare molta attenzione.
Occuparsi di linguaggio chiaro e accessibile quando il cervello è bombardato da più lingue quotidianamente non è sempre una passeggiata: il multilinguismo è meraviglioso ma anche insidioso, e a volte devo concentrarmi tanto o fare una ricerca prima di usare un’espressione che nella mia mente suona benissimo. A volte suona così bene perché è una fusione efficiente di italiano e spagnolo!
L’altra grande sfida è trovare il modo più accessibile per comunicare, cosa che può farsi complicata quando si lavora nel tech e si ha a che fare con gergo, inglesismi, concetti ostici. Ci aggiungo poi la mia volontà di scrivere, per quanto possibile, in un linguaggio non-binario rispetto al genere, cosa che in italiano implica delle scelte specifiche, da fare con consapevolezza (e anche per questo ho scritto un libro sul tema!).
Ci sono strumenti o gesti a cui non potresti rinunciare nelle diverse fasi del tuo lavoro di scrittura?
Ho già fatto spoiler, indossare le cuffie è uno dei miei gesti preparatori; oltre a questo, non mi sembra di averne altri che collego al lavoro di scrittura.
Per quanto riguarda gli strumenti, oltre a quelli che ho già citato per la fase di ricerca, ho un account premium con Grammarly e ci sono affezionata: per chi non lo conoscesse, è una piattaforma di editing che dà molti suggerimenti utili per migliorare i testi, trovare sinonimi, smussare o parafrasare le frasi più contorte. Per me è uno strumento prezioso perché scrivo spesso in inglese.
Come affronti la revisione del tuo lavoro?
Quando faccio la revisione di un testo che ho scritto io, ci rimetto la testa solo dopo uno stacco mentale, possibilmente dopo averci dormito su. Questo mi aiuta a rileggere tutto con i pensieri freschi e un’energia diversa, ma anche a rimaneggiare il testo da una prospettiva più consapevole.
Per le traduzioni di software, invece, dipende: spesso lavoro in team con una persona che si occupa della revisione, una prassi comune nel settore della localizzazione. Se invece lavoro da sola, la situazione ideale sarebbe poter verificare la traduzione nel contesto in cui comparirà il testo (in gergo tecnico questa fase si chiama LQA, Linguistic Quality Assurance), così posso controllare se tutto torna. Purtroppo non tutti i clienti investono in questa fase di controllo qualità, quindi mi affido al buon senso e al fatto di aver tradotto al meglio delle mie possibilità.
Che ruolo ha la parola “responsabilità” nella tua scrittura? C’è qualche altra parola che per te è importante, quando scrivi?
Prima di diventare autonoma, ho lavorato per molti anni in contesti multiculturali e in settori sensibili, come quello medico: usare le parole con responsabilità e rispetto era un imperativo. Ho sempre sentito di dover scrivere responsabilmente, sia quando produco testi nuovi, sia quando traduco o disegno contenuti per progetti web. So che molti dei testi che scrivo e traduco arriveranno sotto gli occhi di un pubblico plurale e variegato, e questa consapevolezza mi porta a lavorare con grande rispetto delle persone che potrebbero leggermi.
L’altra parola che mi risuona in testa quando scrivo è “possibilità”. Sono una persona molto curiosa, grande lettrice fin da bambina: l’idea di poter creare mondi con le parole mi ha sempre affascinata. Poterlo fare per lavoro, da adulta, mi dà molta soddisfazione; certo, non tutti i progetti che mi danno da mangiare sono belli o mi danno la sensazione di star creando mondi nuovi. Ma quando succede sono molto felice. In questo periodo, per esempio, sto ultimando i testi per il lancio del sito di una mia amica di infanzia che si è inventata un progetto molto bello: scrivere per lei e attingere dal nostro mondo di bambine cresciute in un paesino in Sardegna è l’esempio più trasparente delle possibilità che mi dà il lavoro di scrittura. Raccontare le persone e trovare le parole più attinenti al loro modo di essere o al loro progetto, per me significa creare possibilità: di progetti, di affermazione, di riscatto.
Raccontami di due libri: quello che hai sul comodino e quello che consigli a tutti di leggere.
Sono in uno dei miei periodi di lettura impaziente e vorace, per cui ho diversi libri iniziati sul comodino. Quello che sto sottolineando più di tutti è Linguaggio inclusivo ed esclusione di classe di Brigitte Vasallo, che parla di linguaggi inclusivi senza focalizzarsi tanto sulla scelta delle parole quanto sui meccanismi sociali di produzione del discorso e sull’accessibilità del capitale culturale.
Ho poi appena finito di leggere Lo spazio non è neutro di Ilaria Crippi, attivista disabile e lesbica: il suo è un saggio sull’accessibilità degli spazi che abitiamo e sullo sguardo abilista che impera nella nostra società. Lo consiglierei a chiunque perché approfondisce con un linguaggio molto chiaro e scorrevole i tanti modi in cui l’abilismo permea il mondo che viviamo. Utilissimo non solo per conoscere più da vicino l’esperienza di chi convive con una disabilità, ma anche per capire quanti aspetti sociali e culturali sono intervenuti nel tempo per tracciare quel finissimo confine tra disabilità e abilità.
Grazie per avermi intervistata, Letizia ❤️
Bellissima intervista, grazie della condivisione!