Scrivere di dati. Intervista a Donata Columbro
«Provo a rendere chiari anche i concetti più difficili, ma non la vedo come una sfida in realtà: mi sembra il modo in cui dovremmo provare a scrivere sempre, a prescindere dal tema.»
“Scrivere di” è una serie di interviste a professionisti e professioniste che lavorano con la scrittura: arriva ogni prima domenica del mese ed è un ramo di Altenate Takes, la mia newsletter.
In questo appuntamento incontriamo
: ci siamo conosciute nel 2016, a Varese, per Glocal. La sua newsletter fa esattamente quello che promette: ci aiuta a capire in modo accessibile e chiaro come funzionano i dati e ci aiuta a trovare le coordinate per orientarci senza paura su un tema complesso e in apparenza poco amichevole. Tutte le altre cose che spiega, scrive e fa le lascio raccontare a lei: io sono stanca al solo pensiero (specialmente quello delle maratone!).Ciao Donata, mi parli di te?
Sono una giornalista, collaboro principalmente con La Stampa e Internazionale, ho alcune docenze a contratto in università dove insegno data storytelling e data journalism, ho scritto tre libri, corso due maratone e partorito due figli. Ho una newsletter settimanale, un account Instagram abbastanza seguito e parlo in eventi culturali e aziendali: faccio divulgazione, direi. Sai quando vedi una persona e dici, “ma con chi è cresciuta, non assomiglia per niente a nessuno della sua famiglia!”. Ecco, per me è il contrario: sono esattamente figlia di mia mamma, grandissima lettrice, di qualsiasi genere, e di mio papà, programmatore informatico. Quindi mi occupo di dati e tecnologia, ma da un punto di vista filosofico e politico.
Mi racconti del tuo lavoro e del ruolo che ha la scrittura nelle tue giornate?
Da due anni circa la scrittura occupa almeno la metà delle mie giornate, perché anche preparare degli interventi di public speaking è scrivere. Tra l’altro per me i dati sono fatti di parole al 90% (il resto sono numeri), quindi tutto torna.
Quando andavo al liceo sapevo che mi sarebbe piaciuto fare la giornalista, ma non osavo rendere concreto questo pensiero. I miei modelli erano Oriana Fallaci e Rysard Kapuscinski e pensavo, se non posso essere come loro, che senso ha provarci? Però, nel tempo, ho capito se qualcosa è parte di te prima o poi ritorna. Quando nel 2022 ho avviato la mia newsletter settimanale è stato per un richiamo interiore: non potevo non farlo, sentivo che mi sarebbe scoppiata la testa se non avessi aumentato i miei spazi di scrittura. Ho aperto un blog personale nel 2005 e nel 2008 ho collaborato per una testata online per 3€ al pezzo, ne pubblicavo circa 4 a settimana e mi è servito per imparare le regole per scrivere sul web. Dopo l’università ho lavorato per un mensile in cui mi occupavo di migrazioni e cooperazione internazionale, con cui ho preso il tesserino da giornalista. Poi sono stata in redazione a Internazionale e ho sempre collaborato con diverse testate da freelance, ma con le consulenze e la scuola online di cui ero responsabile l’unico luogo in cui continuassi a scrivere era la newsletter della mia (ex) società. Nel 2021 sono tornata a fare la giornalista con una rubrica su La Stampa, ma, a quanto pare, anche se avevo appena consegnato un libro, avevo bisogno di altri spazi.
Ora sono abbastanza appagata dal tempo che dedico alla scrittura, certo potessi fare qualche slide in meno (le odio) e qualche pezzo in più sarei in perfetto equilibrio.
Come gestisci la ricerca prima della scrittura? Quanta parte del tuo lavoro occupa?
All’università nel laboratorio per le tesi di laurea ci hanno insegnato il mantra “leggi 100 - scrivi 1” e da brava secchiona amante delle regole cerco di rispettarla.
Ci sono due modi per fare il mio lavoro: il primo è partire da una domanda, provare a rispondere con dei dati, quindi cercare quelli che mi servono e capire se effettivamente la storia è ancora interessante. Oppure partire dai dati, passarci molto tempo insieme, guardare le tabelle, capire i significati delle parole usate per descrivere ogni categoria, leggere i metadati, i manuali dell’utente se si tratta di grandi database, e da lì partire per ricavare delle domande e poi rispondere con una storia. Che a volte può anche diventare la storia dei dati che non ci sono e, probabilmente, di persone diventate invisibili, di diritti non rispettati, di ingiustizia sistemica.
Come selezioni fonti e informazioni e come le organizzi per scrivere?
Ho una selezione di fonti, soprattutto straniere, che seguo da anni, che sono testate giornalistiche, blog, newsletter, ma anche persone di cui non perdo un tweet o un post perché so che mi faranno scoprire qualcosa di fondamentale per il mio lavoro. Leggo moltissimo, ascolto tanta radio (Radio3 amore mio), faccio podcast-surfing (cerco cioè quelli utili al mio lavoro e li ascolto a 1.5x, a volte li trascrivo con MyGoodTape e faccio fare le sintesi a ChatGpt), e ho un feed di siti specializzati selezionati con cura. Sono abbonata al New York Times, al Washington Post, a Domani, a Internazionale e al Post (ora che li vedo in fila sono tanti!). Poi ci sono le newsletter verticali e i libri. Ah: senza l’app Readwise avrei molte più difficoltà a ritrovare le citazioni, che salvo anche dai libri cartacei. Davvero utile.
Altre fonti imprescindibili sono quelle che producono i dati, le cosiddette “fonti primarie”, come insegno ai corsi, da Eurostat alla Banca Mondiale a Istat, e il modo migliore per restare aggiornata sulle nuove pubblicazioni sono ancora una volta i feed rss o le newsletter. Colleziono ritagli di citazioni su Readwise, uso le note del telefono divise per tema (newsletter, libro in corso, articoli su La Stampa…) e ci “butto” i link che sicuramente devo utilizzare.
Devo confessare però che sono una persona precisa nel mio lavoro, ma non sono organizzata. Il risultato finale sarà apprezzato e d’effetto, ma la strada per arrivarci di solito è imprevedibile. Dovrei strutturare meglio il mio lettore di feed rss, come facevo con Evernote, e salvare i link con delle etichette riconoscibili e rintracciabili, ma non riesco ancora a inserire questa attività nella mia routine. Se qualcunə vuole venire a mettere in ordine i miei link lə accolgo a braccia aperte.
Come trovi la concentrazione? Se ti blocchi cosa fai per ritrovarla?
Una volta ho letto il tweet di una persona con ADHD che diceva più o meno così: “le mie giornate sono un unico tentativo di convincere il mio cervello a fare quello che devo fare”. Ecco, mi ci ritrovo. Se voglio lavorare per 30-40 minuti di seguito devo bloccare tutte le possibili fonti di distrazione come i social (ho un plugin che mi blocca l’accesso da desktop e delle specifiche app da mobile), e soprattutto decidere prima che quel giorno non guarderò l’email. Mi è capitato di mettere un out of office di due giorni perché avevo una consegna. Dipende poi dal tipo di lavoro che sto facendo: per la newsletter vado in flusso di coscienza e scrivo scrivo, poi rileggo ad alta voce, riscrivo, e avendo una scadenza regolare so che non posso metterci di più.
In ogni caso non riesco a scrivere qualcosa dall’inizio alla fine, in un blocco unico. Ho bisogno di molte pause, anche da un giorno all’altro, per terminare un lavoro specifico (come rispondere a queste domande), quindi inizio più progetti contemporaneamente. Scrivo un pezzo per un’ora, poi passo alla newsletter, poi inizio delle slide, poi vado a prendere i bambini e dopo cena torno sul pezzo. Solo se ho una deadline molto serrata riesco a fare solo una cosa per volta. Oppure, quando sono in treno: in qualche modo il viaggio mi permette di percepire meglio il tempo che passa e quindi so organizzare meglio il mio lavoro, alla fine la destinazione è una specie di deadline per il mio cervello.
Spero di non confondere i tuoi lettori e lettrici con queste risposte, ma aggiungo un ultimo passaggio che per me è stato utile: provare fatica mentre si scrive non è segno che non si è capaci a fare questo lavoro, o che non è il mestiere per te. La mia maestra
insegna che la scrittura è un atto fisico e se per me le interruzioni funzionano, allora non posso costringermi a fare in modo diverso.Quali sono le sfide che affronti nell’uso del linguaggio e come le risolvi?
Scrivendo di dati e tecnologia cerco di non dare niente per scontato rispetto a quello che le persone che mi leggono possono già conoscere di quell’argomento. Provo a rendere chiari anche i concetti più difficili, ma non la vedo come una sfida in realtà: mi sembra il modo in cui dovremmo provare a scrivere sempre, a prescindere dal tema. È in effetti “il metodo Internazionale”, per cui ogni pezzo viene “ripassato” più volte, da persone diverse, fino ad arrivare a un risultato finale comprensibile anche a chi non sa nulla della notizia di cui si parla.
Ci sono strumenti o gesti a cui non potresti rinunciare nelle diverse fasi del tuo lavoro di scrittura?
Le mie cuffie e le mie playlist di musica elettronica. Posso anche non avere il computer e scrivere tutto sul cellulare, ma senza musica non parto, mi serve una spinta. Se poi c’è anche qualcosa da bere o da mangiare vicino a me, del caffè ma anche una borraccia, ancora meglio, come se dovessi affrontare un viaggio e avessi bisogno di approvvigionamento costante. Ora che arriva l’estate passerò ai ghiaccioli come Carrie Bradshaw quando smette di fumare.
Come affronti la revisione del tuo lavoro?
È un momento in cui sento di dover essere coraggiosa e lasciare andare magari interi paragrafi, esempi che non servono. Vuol dire che sono arrivata alla fine, e che bisogna perfezionare, togliere, mettere ordine nel mio caos, ed è il momento in cui arriva una sensazione di pace dopo tutta la fatica. Mi piace quando nel mio lavoro da giornalista trovo una redazione che mi aiuta in questo, uno sguardo esterno è fondamentale secondo me, anche per continuare a crescere e imparare.
Che ruolo ha la parola “responsabilità” nella tua scrittura? C’è qualche altra parola che per te è importante, quando scrivi?
La responsabilità è nei confronti di chi mi legge, e nei confronti delle persone di cui parlo, dal momento che mi occupo di ingiustizia e discriminazioni: per me è fondamentale che il mio lavoro sia un servizio alle persone in quanto cittadine, così che con quello che scrivo possano prendere consapevolezza di come funzionano alcuni aspetti della nostra società, delle disparità di potere e del godimento dei diritti umani e come possiamo lottare insieme per la giustizia e l’equità. Che le comunità marginalizzate e oppresse di cui parlo siano parte e partecipi del mio processo di scrittura e raccolta di informazioni è poi importantissimo, e so che posso fare ancora meglio come giornalista da questo punto di vista.
Raccontami di due libri: quello che hai sul comodino e quello che consigli a tutti di leggere.
Sto finendo Baba, romanzo di Mohamed Maalel uscito nel 2023 per Accento edizioni, e lo metto tra i migliori italiani letti nell’ultimo anno, sicuramente. Mi piacerebbe che ai premi arrivassero più libri di questo tipo.
E visto che questa è una newsletter sulla scrittura un libro che consiglio a tutti di leggere è La cronologia dell’acqua, di Lidia Yuknavitch (Nottetempo 2022): quando è finito sul mio comodino non avevo assolutamente idea che potesse riguardare anche questo tema, e che potesse darmi la carica, invece di abbattermi con i temi che tratta. Yuknavitch è tutto il contrario, è spinta, è energia, nonostante o forse proprio per quello che ha vissuto.
Che bella questa intervista che entra così nel tecnico del mestiere della scrittura!