Scrivere. Intervista a Luisa Carrada
«Ogni laboratorio di scrittura che creo è costruito studiando a fondo tantissimi testi del cliente: sono proprio loro a parlarmi di problemi, pregiudizi, timori, relazioni.»
“Scrivere di” è una serie di interviste a professionisti e professioniste che lavorano con la scrittura: arriva ogni prima domenica del mese ed è un ramo di Altenate Takes, la mia newsletter.
In questo appuntamento, l’ultimo del 2024, incontriamo Luisa Carrada: quando si dice dulcis in fundo1! Se ti interessi di scrittura e hai mai cercato un consiglio di lettura da cui cominciare, è probabile che ti abbiano consigliato un suo libro. Sul suo blog, Il mestiere di scrivere, trovi una miniera di articoli per cui mi sento di spendere la parola “inestimabile”, per la qualità e per la generosità con cui sono condivisi. Ma non perdere altro tempo a leggere le mie chiacchiere: inizia l’intervista.
Ciao Luisa, mi parli di te?
Lavoro “intorno” alla scrittura professionale dagli anni 90 del secolo scorso. Un sacco di tempo, ma la faccio breve. Dico “intorno” alla scrittura professionale perché a lungo non ho saputo bene cosa fossi e sono andata avanti senza un progetto professionale preciso, spinta piuttosto dalla passione e dalla curiosità per tutti gli sconvolgimenti che hanno interessato la parola scritta negli ultimi tre decenni. Così scrivo un blog da più di 20 anni e ho scritto anche un buon numero di libri, ma soprattutto sono editor, consulente e docente di scrittura, tutte attività che si sono nutrite a vicenda. Oggi, col senno di poi, mi definirei una divulgatrice della scrittura professionale, che in gran parte insegna.
Mi racconti del tuo lavoro e del ruolo che ha la scrittura nelle tue giornate?
In realtà nella mia giornata tipo la parte del leone la fa la lettura. L’ha sempre fatta. Nel passato erano di più i libri: siccome non ho un background linguistico, per parecchi anni ho cercato di dare basi solide alla mia attitudine alla scrittura, che mi veniva facile e scorreva bene, ma in un modo poco consapevole e molto intuitivo. Quindi ho divorato ogni novità editoriale, in Italia, ma soprattutto nel mondo anglosassone. Lo faccio tuttora, ma oggi che la mia biblioteca professionale è ricchissima incontro più di rado libri che mi appassionano o mi svelano qualcosa di nuovo. Rimango secchiona, ma con molta più leggerezza e le mie fonti sono le più varie, dai quotidiani che leggo mentre faccio colazione appena alzata, alle newsletter che seguo, a Instagram. E poi leggo tantissimo “con le orecchie”, come la studiosa della lettura Naomi Baron definisce l’ascolto di podcast. Raccolgo così tanti spunti, oggi estremamente frammentari. Non ho una memoria da elefante, quindi cerco di fissarli subito.
Come gestisci la ricerca prima della scrittura? Quanta parte del tuo lavoro occupa?
Proprio perché sono smemorata e secchiona, la ricerca ha sempre occupato una gran parte del mio tempo. Se non ho ricercato ben bene, non comincio a scrivere, a meno che si tratti dei post per il blog. Infatti, nonostante mi abbia immensamente aiutata a costruirmi una reputazione professionale, il blog è stato ed è soprattutto il mio taccuino di appunti “pubblico”, che tuttora mi serve per pensare e chiarirmi le idee. Insomma, lo scrivo prima di tutto per me e spesso comincio con qualcosa di vago in mente, che si definisce man mano che scrivo.
Diverso invece quando ho scritto i miei libri o quando lavoro per i clienti.
I libri hanno avuto tempi di incubazione e ricerca straordinari, che però si sono tradotti in tempi di scrittura abbastanza veloci. Non sono una procrastinatrice: riesco a cogliere il momento giusto in cui la ricerca è finita e posso mettermi a scrivere. Prima arrancando un po’, poi sempre più spedita.
Anche nel lavoro di formatrice la ricerca è preponderante: siccome credo che a scrivere si impari non ascoltando qualcuno che ti dice come si fa, ma mettendo subito le mani in pasta sui tuoi testi, costruisco ogni laboratorio studiando a fondo tantissimi testi del cliente, vari e rappresentativi. Sono soprattutto loro a parlarmi di problemi, pregiudizi, timori, relazioni… vi leggo tutto quello che il cliente non dice apertamente, spesso perché non ne è nemmeno consapevole.
Come selezioni fonti e informazioni e come le organizzi per scrivere?
Come ti dicevo, attingo sempre più a tante fonti diverse. Un tempo avevo il megafile word in cui buttavo dentro le cose organizzate per temi, cui poi attingevo alla bisogna. Man mano sono diventata sempre più scafata e uso strumenti e strategie diverse.
Per gli appunti dai libri che leggo in digitale esporto le note dal kindle, le stampo e le rileggo integrando a mano quello che mi viene in mente. Poi le metto in un quadernone ad anelli.
I libri di carta li appunto a matita e li riempio di post-it trasparenti, quelli che evidenziano lasciandoti però leggere il testo che c’è sotto. Se il libro mi ha fatto scoprire idee o informazioni importanti, rileggo ad alta voce i diversi passaggi dettandoli su word. Anche in questo caso: rileggo, stampo, evidenzio, e via nel quadernone.
Altre volte, mentre leggo appunto su post-it. Alla fine gli appunti possono essere tantissimi e allora li riorganizzo per temi su fogli A3 che titolo, piego in due e archivio, sempre nel quadernone. Su mega-temi ho anche organizzato i post-it su rotoloni di carta appesi al muro. Però arriva il momento che li devi arrotolare e allora è difficile che ci torni su.
Mentre navigo, invece, faccio tantissimi screenshot, che annoto e metto subito nel file ppt dove penso mi potranno servire.
Insomma, nonostante i millemila strumenti digitali, nella ricerca ho fatto un deciso ritorno all’analogico, perché mi sembra dia solidità all’evanescenza e alla transitorietà dei tanti stimoli che ci circondano.
Come trovi la concentrazione? Se ti blocchi cosa fai per ritrovarla?
Non ho grandi problemi di concentrazione, ma mi aiuta essere bene organizzata e cominciare ogni lavoro con molto anticipo, in modo da poterlo affrontare tranquilla e godermelo, anche nelle fasi preparatorie. Se mi distraggo facilmente, vuol dire che devo fare altro, e lo faccio. Da un piccolo lavoro in casa a una passeggiata, ad andare a fare la spesa. Una volta, quando non riuscivo a concentrarmi o ero stanca, mi sentivo terribilmente in colpa, resistevo e mi accanivo. Ora ho cambiato strategia: smetto, e ricomincio quando sento che è il momento. E vivo decisamente meglio.
Quali sono le sfide che affronti nell’uso del linguaggio e come le risolvi?
Lavorare da tanti anni e averne viste tante fa sì che difficilmente mi trovi davanti a un problema linguistico che sento come una vera sfida. La sfida è piuttosto un settore di mercato in cui non ho mai lavorato e che quindi conosco poco. Non mi tiro mai indietro e cerco di trasformare la mia ignoranza in un vantaggio, quello di vedere quel settore e i suoi testi con occhi nuovi, proprio come quelli dei suoi utenti e clienti. Ciò non esime dalla ricerca, ovviamente, ma a me studiare piace e un nuovo settore di mercato è come abbordare una nuova materia di studio.
Ci sono strumenti o gesti a cui non potresti rinunciare nelle diverse fasi del tuo lavoro di scrittura?
Ho bisogno del silenzio, totale. Non potrei mai lavorare con musiche di sottofondo o persone che parlano intorno. Anche perché ho molto bisogno di leggere e rileggere ad alta voce.
Ho bisogno dei dizionari, che continuo a considerare un tesoro inesauribile e una rassicurazione. Qualsiasi cosa hai in mente, anche sfuocata o strampalata, lì una risposta la trovi sempre. Dizionari cartacei, rigorosamente.
Da un po’ di tempo ho bisogno – lo confesso – anche di Claude. Sono sempre stata curiosa e smanettona e il fascino delle intelligenze artificiali generative l’ho sentito fin da subito. Dopo la prima ubriacatura, ho imparato a metterlo al mio servizio e a tenere per me quello che mi sprona e mi dà più gusto, compreso il lungo cincischiamento davanti allo schermo bianco, cui mai rinuncerei. Semplificando un po’, mi tengo tutte le attività in cui il tempo lento è essenziale per pensare e scrivere bene, smollo a Claude quelle che mi porterebbero via tempo senza darmi grandi vantaggi.
Come affronti la revisione del tuo lavoro?
Alla revisione dedico tantissimo tempo: al fondo mi sono sempre sentita soprattutto un’editor. Di me stessa, e anche degli altri. Amiche e amici che scrivono sanno quanto mi piaccia intrufolarmi nei testi altrui per tirarli a lucido prima che siano pubblicati.
Lo faccio in modo abbastanza ossessivo anche con i miei, dai libri alle slide per un laboratorio di scrittura in un’azienda, alle mail.
Il mio metodo è la revisione “a strati”, ogni strato un’attenzione diversa: contenuto, completezza, sintassi, coerenza del tono di voce, refusi, colpo d’occhio visivo… è abbastanza laboriosa e prende tempo, ma è l’unico modo che conosco per placare le mie ansie da perfezionista.
Che ruolo ha la parola “responsabilità” nella tua scrittura? C’è qualche altra parola che per te è importante, quando scrivi?
“Responsabilità” non è una parola che di solito adopero, anche se nel lavoro credo di avere un fortissimo senso di responsabilità, che potrei tradurre con “fare le cose il meglio possibile” e “non avere rimpianti per aver trascurato qualcosa”. Responsabilità nei confronti del cliente che mi ha dato fiducia e responsabilità nei confronti del cliente del cliente, cioè di chi dovrà utilizzare i testi per fare o ottenere qualcosa che gli sta a cuore. È soprattutto questa seconda responsabilità a darmi forza e tenacia: è come se mi sentissi la sua avvocata, la sua paladina.
Altre parole chiave, che solo in parte si sovrappongono, sono “precisione” e “accuratezza”. Precisione nella scelta e nell’ordine delle parole, perché diventino lo specchio limpido delle intenzioni comunicative, fino a farsi trasparenti. Accuratezza nei dettagli: da una virgola alla puntualità con cui presenti un lavoro.
Raccontami di due libri: quello che hai sul comodino e quello che consigli a tutti di leggere.
Sul comodino ho Apeirogon di Colum McCann, che sto finendo. Ci ho messo molto, sono oltre 500 pagine che raccontano l’amicizia e la vita quotidiana e familiare di due padri, un israeliano e un palestinese, che hanno perso le rispettive figlie in attentati. È una storia verissima, straziante ma anche piena di speranza e umanità. Scritta divinamente, con una struttura originalissima, fa un gran bene in questi tempi impazziti.
Il libro che consiglio a tutti è Figure di Riccardo Falcinelli, grafico specializzato in editoria e design del libro, autore di molti libri, uno più bello dell’altro, ma in questo la sua capacità divulgativa è al top. Lo consiglio perché insegna a tutti come guardare davvero un’opera d’arte, a capire come funziona solo in virtù del suo linguaggio visivo, e in definitiva a goderne. Lo consiglio a chi scrive perché le sue lezioni sulla “composizione” valgono anche per la struttura di un testo: una questione di ordine, ritmo, pesi e contrappesi (cioè equilibrio), affinità e contrasti, da sperimentare e affinare spostando instancabilmente frasi e parole come faceva Cézanne con le sue mele.
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Lo sapevi che dulcis in fundo è un’espressione in latino inesistente?
Grazie Letizia per questa intervista dentro l'officina di Luisa Carrada 💛.
Che prezioso entrare nel laboratorio di Luisa Carrada! Sospettavo alcuni processi, altri sono nuovi, alcune abitudini le ho anch'io, per altre mi manca la costanza. Grazie, Letizia, e infinite grazie a Luisa!