Estendere il pensiero: organizzare, potenziare, collaborare
Long-context LLM: dalla gestione dell'informazione all'amplificazione del pensiero, grazie a una collaborazione intelligente
Oh oh oh! 🎅🏻 Spero queste giornate stiano passando nel tuo modo preferito; altrimenti spero che stiano almeno passando. Se non lo hai fatto, puoi scaricare ancora l’ebook con le interviste della serie Scrivere di: su LinkedIn è stato un gesto molto apprezzato.
Nello scorso numero di Alternate Takes parlavamo delle possibilità delle intelligenze artificiali in grado di comprendere il contesto: ci lasciavamo con molte questioni aperte. Riparto da qui.
Sulle parole: potenziate e competenti
Nel numero precedente di Alternate Takes abbiamo visto come i modelli linguistici di ultima generazione stiano espandendo la loro “memoria di lavoro”, passando da finestre di contesto di poche migliaia di token a dimensioni che sembravano fantascientifiche, solo un anno fa. Abbiamo chiuso con molte domande: ora che possiamo fornire ai nostri assistenti AI interi libri, documentazioni tecniche complete o lunghe conversazioni, come cambia il nostro modo di interagire con loro?
La sfida non è tanto tecnica, quanto cognitiva e organizzativa: come strutturiamo informazioni così estese? Come ci assicuriamo di non perderci in questo mare di dati? E soprattutto, come facciamo in modo che questa capacità estesa arricchisca, invece di sostituire, il nostro modo di pensare?
Potenziare le competenze
Il passaggio da prompt brevi a contesti estesi richiede un nuovo set di competenze, non dissimile dal salto che abbiamo fatto quando siamo passati dalla ricerca su enciclopedie cartacee a Google. Abbiamo bisogno di rafforzare alcune competenze.
Architettura dell'informazione. Serve una struttura chiara, una gerarchia dell'informazione con cui alimentiamo i modelli. Pensate al contesto esteso come a un libro ben organizzato: ha un indice, capitoli, sezioni. Questa organizzazione non è un vezzo estetico: è ciò che permette al modello (e a noi) di navigare con efficacia nelle informazioni. L’esperienza nell’organizzare contenuti in contesti complessi è un buon punto di partenza.
Pensiero sistemico. Con finestre di contesto più ampie, diventa cruciale capire come le diverse parti dell’informazione si relazionano tra loro. Non stiamo più gestendo singoli prompt isolati, ma vere e proprie reti di conoscenza interconnessa. Si tratta di sviluppare la capacità di vedere le connessioni e applicarla a questa nuova forma di collaborazione.
Metacognizione potenziata. Dobbiamo sviluppare una consapevolezza di secondo livello: non solo di ciò che stiamo chiedendo al modello, ma di come stiamo strutturando l'intero dialogo. Quali informazioni sono davvero rilevanti? Come si collegano tra loro? Quali pattern emergono?
Competenza critica e validazione. Con l’aumentare del contesto cresce anche la complessità della validazione. Diventa essenziale sviluppare tecniche sistematiche di verifica: confrontare le fonti, identificare possibili incongruenze, verificare la coerenza delle elaborazioni. Non si tratta solo di fact-checking, ma di sviluppare un approccio critico che bilanci la potenza dello strumento con la necessità di accuratezza e affidabilità.
Orchestrare informazioni e intelligenze
Ancora, il passaggio da prompt brevi a contesti estesi sta ridefinendo il nostro rapporto con l’informazione. Non è più sufficiente saper formulare richieste precise: serve una vera e propria orchestrazione di competenze umane e tecnologiche.
La curation diventa centrale in questo nuovo scenario. Chi lavora con contesti estesi deve sviluppare un fiuto particolare per l’informazione di qualità: non si tratta solo di raccogliere dati, ma di comporli in una narrazione coerente. È un’attività che opera su più livelli: dalla selezione delle fonti alla gestione delle loro interconnessioni, fino alla manutenzione nel tempo. Non si eliminano le contraddizioni, ma si integrano con consapevolezza nel contesto, quando rappresentano prospettive legittime e rilevanti di uno stesso fenomeno.
Questo lavoro può svolgersi attraverso un processo iterativo di collaborazione tra persone e assistente AI. La persona definisce il perimetro e seleziona le fonti chiave, portando la sua esperienza di dominio e capacità di giudizio critico. L’AI elabora grandi volumi di dati, identificando pattern e connessioni che potrebbero sfuggire all'occhio umano. La persona rivede, valida e affina i risultati, applicando comprensione contestuale e sensibilità alle sfumature. L’AI rielabora il tutto tenendo conto del feedback ricevuto.
In questo processo emergono dinamiche che ricordano più un dialogo tra colleghi che l'interrogazione di un database: la necessità di una fase iniziale di “calibrazione” reciproca, l'importanza dei momenti di revisione e riflessione, la tendenza naturale a procedere per successive approssimazioni. È un’ulteriore conferma che stiamo sviluppando una forma di collaborazione intelligente, non solo un sistema di elaborazione dati.
Questo processo iterativo di collaborazione suggerisce qualcosa di più profondo di un semplice strumento di supporto: stiamo assistendo all'emergere di un vero e proprio sistema cognitivo esteso. Non si tratta più solo di interrogare un assistente AI su richiesta, ma di costruire un’estensione persistente e intelligente della nostra memoria e delle nostre capacità di elaborazione.
Second brain, amplificato
C’è qualcosa di profondamente affascinante nell’idea di espandere la nostra memoria attraverso un “secondo cervello”1 digitalizzato. Con i modelli a contesto esteso, non parliamo più solo di archiviare informazioni, ma di creare un vero e proprio ecosistema cognitivo ibrido. Le implicazioni sono tanto promettenti quanto complesse.
Sul fronte delle opportunità, la prospettiva è quella di una memoria esterna non solo più capiente, ma anche più intelligente. Immaginate di poter interrogare mesi o anni di appunti, documenti e riflessioni non come una semplice ricerca per parole chiave, ma attraverso un dialogo che comprende il contesto e le connessioni profonde tra le informazioni. È la differenza tra avere un archivio e avere un collaboratore che conosce intimamente il nostro percorso intellettuale.
Questa intimità cognitiva solleva questioni cruciali. La prima riguarda la privacy, naturalmente. C’è poi il rischio sottile dell'omogeneizzazione del pensiero. Quando iniziamo a delegare parte del nostro processo cognitivo a sistemi AI, quanto rimane davvero personale nel nostro modo di elaborare le informazioni? Il pericolo è quello di una standardizzazione strisciante, dove l’efficienza dell’elaborazione automatica potrebbe sostituire gradualmente quelle irregolarità e idiosincrasie che spesso sono la fonte della creatività umana.
Anche la questione della dipendenza cognitiva merita attenzione. Come cambia il nostro modo di pensare quando sappiamo di avere sempre a disposizione questo supporto esterno? Rischiamo di perdere alcune capacità fondamentali – come la memoria profonda, il pensiero associativo spontaneo, la capacità di sintesi personale – delegandole sempre più ai nostri assistenti digitali?
Proprio come la scrittura ha trasformato il modo in cui la nostra mente organizza e accede alle informazioni, questi nuovi strumenti stanno plasmando un nuovo modo di pensare. La sfida sta nel coltivare questa trasformazione mantenendo la nostra autonomia intellettuale: non si tratta di resistere al cambiamento, ma di guidarlo verso un autentico arricchimento delle nostre capacità cognitive.
Approfondire e connettere
L’uso di contesti estesi sta ridefinendo diversi ambiti professionali, ma non sempre nel modo che ci si potrebbe aspettare. Mentre l’entusiasmo iniziale spesso si concentra sulla capacità di processare grandi volumi di informazioni, nella pratica il vero valore emerge quando questi strumenti vengono utilizzati per approfondire e connettere, piuttosto che per espandere indiscriminatamente.
La chiave sembra essere nella qualità e nella struttura del contesto, non nella sua ampiezza. Un contesto ben costruito e mirato si è dimostrato più efficace di uno più ampio ma meno coerente. Questo principio vale sia che si stia analizzando documentazione tecnica, conducendo una ricerca, o sviluppando materiale creativo.
Limiti e problemi
L'espansione delle capacità di contesto dei modelli linguistici pone anche questioni sostanziali che non possiamo fingere di non vedere, abbagliati dall’entusiasmo.
Equità di accesso. Gestire ed elaborare contesti estesi richiede risorse computazionali significative, con costi che possono essere proibitivi per molti. Il rischio è che si crei un nuovo divario cognitivo: da una parte chi può permettersi di amplificare le proprie capacità con strumenti avanzati, dall’altra chi ne è escluso.
Nuove forme di errore. Sul piano tecnico, l'aumento del contesto non si traduce automaticamente in maggiore affidabilità. Anzi, gestire grandi quantità di informazioni può portare a nuove forme di errore: correlazioni spurie, confusione tra fonti, mescolanza di informazioni provenienti da contesti diversi. Come quando si cerca di tenere troppe conversazioni parallele, il rischio di perdere il filo o confondere i riferimenti aumenta, con la quantità di informazioni in gioco.
Etica e legalità. Gran parte del materiale che potremmo voler usare come contesto è protetto da copyright: libri, articoli, documentazione tecnica, per limitarci alla parte testuale. Qual è il confine tra un uso legittimo per l'apprendimento e una potenziale violazione del diritto d'autore2? Come gestiamo le informazioni sensibili o personali che potrebbero essere presenti nei contesti che forniamo ai modelli?
Opacità dei processi di ragionamento. Quando un modello elabora un contesto molto ampio, diventa sempre più difficile capire come sia arrivato a certe conclusioni, quali fonti abbia effettivamente utilizzato, quanto sia affidabile il suo ragionamento. Questa mancanza di trasparenza pone sfide significative per tutti quei contesti – professionali, accademici, legali – dove la verificabilità e la tracciabilità delle fonti sono essenziali.
Amplificare la consapevolezza per costruire il pensiero potenziato
Stiamo entrando in un’era dove l'automazione dei processi cognitivi non è più una questione di “se”, ma di “come”. Non si tratta di sostituire il pensiero umano, ma di creare spazi dove intelligenza naturale e artificiale possano amplificarsi a vicenda.
Alcuni sviluppi futuri sono già visibili all'orizzonte: modelli sempre più capaci di mantenere coerenza su contesti estremamente ampi, interfacce che permetteranno una collaborazione più naturale e intuitiva, strumenti che ci aiuteranno a navigare la complessità senza perdercisi dentro. Ma sono le nostre scelte di oggi che determineranno se questi strumenti diventeranno estensioni cognitive che ci potenziano o stampelle che ci rendono dipendenti.
Una direzione promettente è quella degli “spazi di pensiero potenziato”: ambienti di lavoro dove le nostre capacità naturali di ragionamento, creatività e intuizione vengono supportate, ma non sostituite, da assistenti che fungono da amplificatori cognitivi. In questi ambienti, la tecnologia non è un oracolo da consultare passivamente, ma un assistente attivo nel processo di pensiero.
La risposta potrebbe essere nello sviluppo di una nuova forma di consapevolezza digitale: una pratica costante di attenzione al nostro uso degli strumenti cognitivi, dove ogni automazione viene valutata non solo in termini di efficienza, ma di impatto sulla nostra autonomia intellettuale e crescita personale.
Il futuro del pensiero potenziato non è un destino inevitabile, ma un progetto da costruire consapevolmente. La tecnologia ci offre strumenti sempre più potenti, ma sta a noi decidere come utilizzarli per espandere, invece che rimpiazzare, le nostre capacità umane. La misura del progresso non sarà quanto possiamo delegare alle macchine, ma quanto possiamo crescere attraverso una collaborazione consapevole con esse.
Vuoi lavorare sulle tue competenze di scrittura?
Esercizi
Hai automatizzato delle attività mentali negli ultimi anni? Quali capacità hai sviluppato grazie a questa automazione? Quali invece rischi di perdere?
Quali tipi di informazioni deleghi regolarmente alla tecnologia? In quali momenti senti che gli strumenti ti potenziano e quando invece avverti una sensazione di dipendenza?
Nel tuo lavoro, quali sono i momenti in cui senti il bisogno di “spegnere tutto” e pensare in autonomia? Sono aumentati o diminuiti nell'ultimo anno?
Hai provato a svolgere uno degli esercizi e vuoi parlarmene? Rispondi a questa email o in un commento: sono contenta di discuterne insieme.
Un libro
Per una volta niente libro. Mi consigli qualcosa tu?
Qualcosa di utile
Ho preso una light bar per il monitor del computer: oltre che fare una semplice luce calda o fredda in direzione della scrivania, dal lato superiore è sfiziosamente multicolore, con diverse modalità e combinazioni. L’ho pagata qualcosa in meno del prezzo attuale: tienila d’occhio, se ti interessa, penso che cambi prezzo spesso.
Tre link
Facilitation for All: una collezione di risorse gratuite per la facilitazione.
Neurodiversity Design System: un insieme coerente di standard e principi che combinano neurodiversità e design dell'esperienza utente per i sistemi di gestione dell'apprendimento (LMS)
L’impatto del cambiamento climatico in Groenlandia e come se ne stanno occupando [Video su Internazionale]
In ascolto
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Note
Non hai mai sentito parlare di second brain? Inizia da qui, per la versione più recente. Magari ne riparliamo.
Wired segue ogni battaglia sul copyright che coinvolge l'industria dell'intelligenza artificiale e ha creato alcune visualizzazioni che aggiorna con l'avanzare dei casi: Every AI Copyright Lawsuit in the US, Visualized [Paywall]. C’è anche Case Tracker: Artificial Intelligence, Copyrights and Class Actions, curato dallo studio legale BakerHostetler, senza paywall.
Libro: ti consiglio "Punto, linea, superficie". Di Kandinsky. Ciao!
Quello dell’organizzare grandi quantità di informazioni è un tema sempre più centrale. In merito trovo che strumenti come NotebookLM e anche ChatGPT (nelle più recenti iterazioni) siano incredibilmente potenti. Trovo giustissimo quanto scrivi sulla qualità dell’elaborazione rispetto alla sua vastità: verticale e profonda piuttosto che orizzontate e ampia (e spesso imprecisa).
Nella mia pratica di ricerca sto usando gli LLM sempre meno come strumenti di, appunto, ricerca e sempre più come assistenti con cui dialogare e da cui ricevere suggerimenti, anche sfruttando la loro capacità di proporre punti di vista spesso molto ragionevoli ma che spesso vengono trascurati (perché non ci sta tutto nel cervello umano!)
Concludo con le loro capacità analitiche: fornirgli un prompt (un’idea, un programma) e chiedergli di analizzarlo secondo pro e contro molto spesso è rivelatore.
Insomma: trovo che come assistenti e collaboratori siano sempre più utili.
Grazie, molto utile questo tuo articolo!