Scrivere di natura. Intervista a Barbara Bernardini
«È importante non perdere il contatto con la realtà fisica delle cose, con la luce che le definisce, con la concretezza del mondo.»
“Scrivere di” è una serie di interviste a professionisti e professioniste che lavorano con la scrittura: arriva ogni prima domenica del mese ed è un ramo di Altenate Takes, la mia newsletter.
In questo appuntamento incontriamo
: siamo spiriti affini di jingle, di smemoratezza, di animalini buffi, di muschietti. Barbara ha scritto un bel libro per Nottetempo, Dall’orto al mondo. Piccolo manuale di resistenza ecologica e ha una newsletter imperdibile, .Ciao Barbara, mi parli di te?
Per lavoro organizzo i corsi di editoria, scrittura e progettazione culturale della casa editrice minimum fax. Il resto è più difficile da raccontare: una nebulosa in cui ci sono le cose che ho studiato nel tempo – grafica, fotografia, sociologia, comunicazione, eventi culturali –; le cose che mi appassionano – quelle sceme e buffe, principalmente, ma anche quelle bellissime, complicatissime eppure minime: un muschio, un coleottero, la gemma di una foglia –; le cose che mi stanno a cuore – l’ambiente, le piante, la cultura contadina, il cibo e come questi ambiti stiano insieme e siano in relazione fra loro.
Da questa nebulosa negli ultimi anni sono venuti fuori una newsletter,
, e un libro, Dall’orto al mondo. Piccolo manuale di resistenza ecologica.Mi racconti del tuo lavoro e del ruolo che ha la scrittura nelle tue giornate?
Fra i buoni propositi del 2024 c'era quello di dedicare almeno un'ora al giorno alla scrittura dei miei progetti personali. È stato disatteso ancora prima che finisse gennaio, quindi ecco, il ruolo che ha la scrittura nelle mie giornate è riempire quegli interstizi casuali di tempo in cui non ci sono altre incombenze.
D’altra parte, anche il mio lavoro è composto per un buon 75% di scrittura. Scrivere è una pratica necessaria fin dall’ideazione stessa di un corso, dal ragionare su quali siano gli argomenti necessari, mettere giù una prima scaletta; e poi pensare al titolo, al sottotitolo e a un testo che possa spiegare brevemente ma chiaramente gli intenti e i contenuti e al declinare quel testo per i vari canali, fino all'ultima mail mandata ai partecipanti il giorno dopo che il corso si è concluso.
La scrittura ha quindi questo ruolo ambivalente, di principale attività lavorativa e (raro) spazio privato e intimo.
Come gestisci la ricerca prima della scrittura? Quanta parte del tuo lavoro occupa?
Temo ci sarà una costante nelle mie risposte che è il caso. Non ho un vero metodo: ogni volta che scrivo un numero della newsletter, un articolo per qualche rivista o un capitolo di un libro, parto da un'idea iniziale che mi appunto con carta e penna, buttando giù un primo schema che mi sembra, spesso, molto chiaro (mi illudo facilmente, devo ammetterlo). Da quello schema parte la ricerca: e lì inizia la confusione. Perché tutto mi sembra abbia in qualche modo a che fare con quanto vorrei scrivere, vorrei che tutto ci stesse dentro, leggo, appunto, riprendo, ma ogni articolo e ogni libro che leggo mi apre la strada ad altri libri e altri articoli, e lì c'è la fase frullatore. Vorrei tenere tutto insieme. Non ho ancora scritto una riga, se non quel primo schemino sul quaderno che intanto si è ramificato in mille frecce diverse, e mi paralizzo.
Come selezioni fonti e informazioni e come le organizzi per scrivere?
Dopo la fase di accumulo eccessivo e di conseguente confusione, come se avessi svuotato decine di puzzle diversi sul tappeto e me ne stessi lì indecisa sulle infinite possibilità di montare i pezzi mescolandoli fra loro, arriva il momento in cui capisco quale sarà il punto di vista, quale sarà il filo conduttore che terrà insieme i miei pezzi, come potrò rimontare in modo personale cose che sono già state dette e scritte: e dato che è già stato detto e scritto quasi tutto e molto spesso in modo eccellente, trovare quel filo conduttore e quel punto di vista inedito è importante, altrimenti tanto vale rimettere a posto i puzzle e andarsene a fare merenda (cosa che accade il più delle volte, in effetti).
Come trovi la concentrazione? Se ti blocchi cosa fai per ritrovarla?
Eccolo, ritorna il caso: come ti dicevo, nei miei progetti, c'era quello di riuscire a ritagliare un'ora in cui scrivere e basta, senza distrazioni; la verità è che il caso regola anche la mia concentrazione. Credo che la difficoltà di concentrazione sia un problema ormai abbastanza diffuso: siamo costantemente immerse in troppi stimoli diversi, anche fuori l'orario lavorativo arriva la mail di lavoro sul nuovo improrogabile problema da risolvere, il reel divertente con le oche, la notifica whatsapp con il vocale della rappresentante di classe sulla gita alla fattoria, ancora un reel divertente con le oche, le altre tre mail di lavoro che sono arrivate nel frattempo, due a cui basta rispondere "va bene" e la terza con un altro problema da risolvere che richiede a sua volta altre quattro mail, la telefonata perché invece della quarta mail è meglio chiamare, infine, quando mi rimetto a cercare la concentrazione per scrivere, vedo un nuovo reel, questo davvero molto divertente, con le oche.
Il caso quindi a volte può essere fortunato e fra un'oca e l'altra riesco a ritrovare facilmente le fila di quanto stavo scrivendo, mentre in altre lo slancio è perso ed è inutile cercarlo. Una differenza può farla se sono sola o no: essere sola a casa è il discrimine fra continuare anche senza concentrazione o mollare tutto. La solitudine è una forma di concentrazione anche quando la concentrazione non c'è: perciò continuo a scrivere e a buttare giù cose, ci tornerò, poi, con calma e con più testa, ma cerco comunque di completare almeno quel pensiero. Poi magari il giorno dopo butto tutto, mi sarà lo stesso utile per capire cosa non va bene, quali strade non prendere, cosa non ci sta e perché, il più delle volte però c'è una frase da tenere, un’idea, un punto e virgola che sta al suo posto.
Quali sono le sfide che affronti nell’uso del linguaggio e come le risolvi?
Me ne vengono in mente due: trovare la parola giusta e dover trovare un’alternativa alla parola giusta.
Il più delle volte ho la sensazione che la parola giusta mi sfugga: che ho chiaro il senso e il significato che mi serve, ma che mi manca il significante. Come quando non riesci a farti venire in mente il titolo di quel film o il nome di quell’attrice, ma hai ben chiaro il film e il viso della protagonista (succede anche agli altri o solo a me che ho una pessima memoria?). È una bellissima sensazione quando arriva la parola giusta, ma a volte dura poco: perché quella parola per mille motivi non ci sta, perché abbiamo questa idiosincrasia per le ripetizioni e quindi devi sempre trovare un sinonimo (che non ha mai lo stesso significato!) o perché non sta bene in quel contesto, o vicino ad altro finisce che suona male, insomma: spesso una frase diventa un rompicapo, devi farla funzionare ma non sai come, è un processo simile all’enigmistica ed è divertente (quando la risolvi) e frustrante (quando la molli lì per disperazione o, peggio, quando la soluzione arriva fuori tempo massimo, quando il libro è già stampato o la newsletter già partita o questa intervista già pubblicata: sai quante cose vorrò cambiare, allora?).
Ci sono strumenti o gesti a cui non potresti rinunciare nelle diverse fasi del tuo lavoro di scrittura?
Nella prima fase per me è necessario appuntare l’idea iniziale con carta e penna, e poi tornarci, anche dopo, per ampliarla in uno schema per punti o in una sorta di diagramma. La scrittura vera e propria so farla solo al computer, non importa il programma specifico anche se spesso torno su un semplice file word, mi è necessario solo il mio computer. Quando non mi torna quello che sto scrivendo, riprendo lo schema su carta, sposto e rimonto, oppure mi fermo ed esco fuori, all’aperto.
È importante non perdere il contatto con la realtà fisica delle cose, con la luce che le definisce, con la concretezza del mondo. È inutile stare chiusa davanti allo schermo per cercare di rendere, attraverso una descrizione, la sensazione tattile di un certo tipo di foglia se il ricordo di quella sensazione si perde o è disturbato dalla distanza. Conviene andare fuori, cercare quella foglia, osservare, osservare, osservare ancora, toccare, annusare. Dalla botanica e dall’agricoltura abbiamo preso così tante metafore che le parole si sono sfilacciate, hanno perso il significato reale e concreto: seminare, potare o sfoltire, crescere, scavare, e poi: terreno fertile, humus, in fiore e così via, fa bene tornare di tanto in tanto a toccare con le mani la forma concreta di queste parole, prima di usarle di nuovo.
Quindi la terra, il contatto diretto con il suolo, e con quello che ci cresce su, attraverso tutti i sensi, è uno strumento irrinunciabile, tutto il resto può venire sostituito da un programma o l’altro, da una tastiera o l’altra (anche se preferisco la mia), da un quaderno, un foglietto o un tovagliolo.
Come affronti la revisione del tuo lavoro?
Quando riesco a darmi tutto il tempo necessario, seguo tre fasi diverse di revisione.
La prima, è di senso, di logica, è una prima lettura in cui cerco di capire se ho scritto quello che volevo dire, se si capisce, se c’è una consequenzialità o se i vari argomenti e paragrafi vanno montati diversamente, se mancano delle cose o – come accade molto più spesso – se ce ne sono troppe.
La seconda è più lessicale, che poi è la parte più difficile per me, come dicevo prima: trovare la parola giusta, trovare un’alternativa alla parola giusta, evitare le frasi fatte, le coppie di termini – sostantivo/aggettivo o verbo/avverbio – che vanno in automatico, che dicono una cosa affidandosi a una scorciatoia o al senso comune invece che al reale significato; o quelle metafore che sembrano poetiche o sensazionali e poi non sono né l’una né l’altra – questo, se posso, è un consiglio: quando scrivete una cosa e pensate “ah, questa sì che è sensazionale” cancellatela subito: quando si scrive anche una sola parola per stupire o per sembrare intelligenti o per qualunque altro motivo che non sia farsi capire nel modo più pulito possibile, allora quella parola non dovrebbe starci. Che non vuol dire scrivere sciatto o scrivere in modo “semplicistico”, a volte bisogna dire una cosa complessa, e ci vuole complessità – sì, questa distinzione la rubo alla tua ultima newsletter dove l’hai spiegata benissimo – vuol dire, piuttosto, che bisogna avere cura delle parole, di quello che si scrive, e un po’ meno del proprio ego.
L’ultima è invece di suono delle parole, di ritmo delle frasi, di uso della punteggiatura, di – azzardo un po’, vergognandomene, perché non scrivo mica poesie o testi letterari – musicalità del testo. Leggo ad alta voce, e mi fido dell’orecchio. È la fase più importante e spesso mi accorgo di problemi di senso, sintattici o lessicali che mi erano sfuggiti prima.
Che ruolo ha la parola “responsabilità” nella tua scrittura? C’è qualche altra parola che per te è importante, quando scrivi?
È una domanda difficilissima, che mi è stata posta anche a una delle prime presentazioni del libro: è passato quasi un anno da allora e non so ancora bene come rispondere. Credo di sentire una responsabilità verso il tema – il nostro rapporto con l’ambiente, la lotta alla crisi climatica – e per questo cerco di rimandare sempre a chi ne sa più di me, ai dati, alle fonti più attendibili e, insieme, di trovare quale possa essere il mio contributo, anche se sono consapevole che sia piccolissimo (anzi, tenendolo sempre a mente, che non è affatto modestia ma a modo suo una forma di responsabilità anche questa). Mi pare, ma fa parte sempre di quella risposta che cerco da un anno, che il mio contributo possa essere quello di riportare, nella discussione generale sull’ambiente, un punto di vista più piccolo, vicino, quotidiano. Non sono una naturalista partita per un viaggio incredibile fra i ghiacciai dell’Artico, o una biologa marina che ha potuto esplorare i fondali più inaccessibili. Sono una persona che ha un orticello dietro casa, in una campagna che non è una romantica e suggestiva vallata ma una pianura stretta fra la zona industriale e la città. Non serve una quercia secolare per capire quanto sia incredibile un albero, può bastare un piccolo ciliegio, mezzo selvatico, nato spontaneamente in giardino. Non serve avere un coraggio eccezionale per contribuire a una lotta che è importantissima, quella per la vivibilità del nostro pianeta. Ecco, forse quello che ho da dire è questo: è una lotta che ci riguarda tutti e a cui tutti possiamo dare un contributo, perché è davvero una questione da persone semplici, che vogliono una vita semplice, serena, una vita che, come suggeriva Alex Langer, possa essere più lenta, più dolce, più profonda. Vorrei riuscire a trovare le parole giuste per dire quanto una vita così – in cui ci si prende cura dei nostri tempi, dei nostri corpi, di ciò che ci sta intorno, e ci si lascia curare dall’altro, in cui ci sia spazio per la meraviglia e lo stupore, fosse anche solo per una pianticina di fagiolini – sia bellissima, non una rinuncia, non un accontentarsi, non un sacrificio per "salvare il pianeta” ma un modo per salvare noi stessi dalla fatica estrema, dallo scollamento dal reale, dalla frenesia, dall’insensatezza con cui viviamo.
Mi sono fatta prendere la mano? Non so, un giorno le parole giuste le troverò, la mia piccola forma di responsabilità forse è continuare a cercarle.
Raccontami di due libri: quello che hai sul comodino e quello che consigli a tutti di leggere.
Sul comodino ho La palude, di Annie Proulx (Aboca, traduzione di Teresa Albanese): vivo in una zona che è stata una palude, sul limitare dell’Agro Pontino, ma nessuno di noi abitanti odierni l’ha mai vista. È il fantasma di un paesaggio di cui non è rimasto nulla, dopo la bonifica violenta e forsennata del regime. Non è un ambiente naturale a cui qualcuno si affeziona, che qualcuno piange, o per la cui salvaguardia qualcuno sia disposto a battersi, anzi, nel nostro immaginario la palude è un posto malsano, maleodorante, sporco, da bonificare, appunto. È la palude della tristezza dove affonda e muore Artax, è la Stigia dove Dante butta gli iracondi.
Trovarla raccontata con tanta poesia e passione è molto bello: tu sai cos’è lo sfagno? Hai mai visto quanto è complesso da vicino? Sì, i muschietti mi appassionano ma in effetti: sono bellissimi. Ecco, prima di consigliare un libro consiglierei di guardare da vicino muschi e licheni, o di prestare più attenzione a una qualunque di tutte le forme di vita che ci circondano, o scavare una buchetta, metterci un seme, e aspettare.
Sul libro da consigliare invece sono più in difficoltà, perché non ce n’è uno che vorrei che tutti leggessero, sulle scelte assolute sono una frana perché sono troppo indecisa per prendere una posizione netta. Posso consigliare una manciata di titoli che secondo me possono aiutare a riallacciare legami che si sono sfilacciati, e poi ognuna fa come vuole?
Un libro per allenare lo sguardo, quell’osservare, osservare e osservare ancora di cui parlavo prima, è Verso la foce, di Gianni Celati. È un manuale per imparare a guardarsi attorno, a leggere la luce e capire come si muove attorno a noi, come costruisce il paesaggio, ed è un modo per rinsaldare il legame con lo spazio in cui ci muoviamo.
Per riallacciare un legame col nostro futuro nel mondo: Primavera ambientale di Ferdinando Cotugno e poi Favole del reincanto, di Stefania Consigliere, in modi diversi aprono una finestra su un futuro possibile, su un’alternativa, fanno venire voglia di immaginarla e di lottare per averla.
E per riallacciare il legame per me più importante, con la terra – la terra da scavare, da seminare, da coltivare, intendo – alcuni libri sull’orto, sul rivalutare quelle pratiche e quei saperi fondamentali degli “zappaterra”: L’orto di un perdigiorno di Pia Pera, per la poesia; La rivoluzione del filo di paglia di Masanobu Fukuoka, per il pensiero profondo; Le pianure, di Federico Falco, per il rapporto fra scrittura e coltivazione; infine Fra contadini. Dialogo sull’anarchia, un libretto di Errico Malatesta scritto a fine ‘800, che in modo molto semplice dice una verità profonda: la libertà più giusta è nella terra.
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Comunque, Letizia... grazie davvero per questi incontri che proponi con l'idea di scrittura che hanno le persone! Scoprire quali vie essa prende nelle menti che non sono la mia è davvero una incredibile risorsa...