Scrivere di legge. Intervista a Giorgio Trono
«Tutti hanno il diritto di capire senza troppi affanni. Io devo fare quanto possibile perché questo loro diritto sia soddisfatto.»
“Scrivere di” è una serie di interviste a professionisti e professioniste che lavorano con la scrittura: arriva ogni prima domenica del mese ed è un ramo di Altenate Takes, la mia newsletter.
In questo appuntamento incontriamo
: la sua newsletter, , per me è una risorsa preziosissima su uno degli ambiti più complessi del linguaggio, quello giuridico. Gli sono molto grata per la generosità e la cura con cui ha risposto alle mie domande, e per l’attenzione che mette nel suo lavoro.Ciao Giorgio, mi parli di te?
Sono un avvocato. Per diversi anni la mia attività principale è stata scrivere contratti per imprese e freelance. Ora mi occupo soprattutto di trasformare ostici contratti e interminabili policy aziendali in documenti più piacevoli da vedere e più agevoli da capire.
Mi racconti del tuo lavoro e del ruolo che ha la scrittura nelle tue giornate?
A me piace dire che il mio lavoro consiste nel riprogettare documenti legali, ricollegandomi al significato di design come attività progettuale. In concreto, le aziende mi affidano un loro documento; di solito è un muro di testo scritto in legalese a cui hanno messo mano più persone nel corso degli anni.
Ciò si traduce in informazioni difficili da trovare e da capire per chi lo legge. Io lo analizzo al microscopio, lo smonto per ricomporlo secondo una logica, ne semplifico il linguaggio e ne curo la tipografia; se serve a rendere più chiaro il contenuto uso elementi visuali come tabelle, linee del tempo, diagrammi di flusso, che di solito non trovano spazio in questo tipo di documenti. Lo faccio confrontandomi continuamente con le persone, quasi sempre i legali dell’azienda, che curano i contenuti del documento. Da una decina di anni questo tipo di attività viene chiamata “legal design”.
Se devo ridurlo all’osso, il mio lavoro quotidiano è ascoltare, leggere, scrivere e riscrivere. Quasi tutto il mio lavoro ruota intorno alla parola scritta e sfocia nello scrivere. E parte del mio lavoro è anche scrivere una newsletter e su un canale Telegram dedicati al tema della scrittura giuridica e del legal design.
Come gestisci la ricerca prima della scrittura? Quanta parte del tuo lavoro occupa?
Per il tipo di documenti che tratto, essere precisi è d’obbligo. Per questo la ricerca è fondamentale nel mio processo di scrittura: significa partire da fondamenta solide e non improvvisare. A volte ne faccio persino troppa, per eccesso di pignoleria o forse più semplicemente perché amo cercare, navigare, immergermi e perdermi tra le fonti: libri, siti internet, articoli di ricerca, banche dati giuridiche, sentenze o provvedimenti delle varie autorità.
La ricerca è anche ascoltare le persone coinvolte nel ciclo di vita del documento legale. Ed è continua: può capitare di arrivare all’ultima pagina di un interminabile documento e di imbattermi in una parola o in un concetto giuridico il cui significato non è chiaro. Allora mi fermo e “riapro” il materiale fino ad allora raccolto per scovare la soluzione, ossia una parola o una espressione alternativa. E se non la trovo lì, devo trovarla altrove.
Come selezioni fonti e informazioni e come le organizzi per scrivere?
Nel selezionare le fonti sono avvantaggiato dalla mia attività di avvocato e dalla natura dei documenti su cui lavoro. Se lavoro su un contratto, seleziono tutte le leggi che ne regolano il contenuto, cerco le sentenze che possono essermi utili, i provvedimenti delle autorità che intervengono su quello specifico settore (ad esempio, la Banca d’Italia, la Consob, il Garante privacy). Per ogni progetto apro un file in cui riporto l’elenco delle fonti che mi possono essere utili e l’estratto della specifica fonte che mi interessa perché ad esempio chiarisce un significato che nel contratto è oscuro: in questo modo potrò giustificare agevolmente una mia scelta linguistica agli occhi del cliente.
Come trovi la concentrazione? Se ti blocchi cosa fai per ritrovarla?
La trovo imponendomi una disciplina: devo lavorare in un ambiente silenzioso (ma come fate a lavorare negli open space?), disattivo tutte le notifiche, allontano il cellulare dalla scrivania e divido la giornata in blocchi orari.
Se perdo la concentrazione, esco per qualche minuto all’aria aperta.
A mali estremi uso la tecnica del pomodoro e per alleviare le ultime ore di lavoro e attenuare il silenzio che può diventare pesante, metto in sottofondo qualche playlist con i suoni della natura.
Quali sono le sfide che affronti nell’uso del linguaggio e come le risolvi?
La sfida principale è quella di coniugare chiarezza e precisione; costruire un testo comprensibile a chiunque e allo stesso tempo rispettoso della norma di legge. A volte questo non è possibile, perché il documento deve riprodurre una norma scritta male: il testo sarà quindi preciso, ma non chiaro.
Altre volte il limite è dato da un termine tecnico, con un significato ben specifico. In questi casi devo cercare di semplificare il più possibile il contorno o magari chiarisco il significato aggiungendo e non sottraendo parole.
Un’altra sfida è evitare il maschile sovraesteso: per fortuna la questione del linguaggio di genere si sta imponendo all’attenzione anche di un mondo tendenzialmente conservatore come quello legale.
Ci sono strumenti o gesti a cui non potresti rinunciare nelle diverse fasi del tuo lavoro di scrittura?
Per me è imprescindibile, come primo gesto, stampare il documento. In una prima fase di lettura e revisione trovo infatti molto più agevole lavorare sulla carta. Per avere poi una visione di insieme dei contenuti e di come sono distribuiti, specie all’interno di lunghi documenti, appendo al muro i vari fogli o se sono tanti li distribuisco persino sul pavimento.
Poi devo creare un indice, quasi sempre assente nei documenti originali, oppure una mappa mentale, per poter muovermi meglio tra le varie parti del documento. Tutto ciò per evitare di concentrarsi troppo sui particolari e di perdere di vista il contesto generale. Un rischio che è alto quando si lavora su documenti corposi.
Come affronti la revisione del tuo lavoro?
Devo fare passare almeno un giorno prima di revisionare il lavoro fatto. In fase di revisione poi cerco di sciogliere i nodi rimasti aperti e che ho segnato a margine del documento. Capita infatti che la soluzione a un problema lessicale o di organizzazione dei contenuti arrivi solo dopo aver completato la prima fase di riscrittura.
Che ruolo ha la parola “responsabilità” nella tua scrittura? C’è qualche altra parola che per te è importante, quando scrivi?
La responsabilità ha un ruolo centrale nel mio lavoro di scrittura. Io la declino in modo diverso e verso due pubblici differenti: il primo pubblico è rappresentato dai legali dell’azienda che mi ha ingaggiato. Verso costoro mi assumo la responsabilità di ogni scelta: aver cancellato una intera frase, aver spostato una clausola, aver sostituito una parola o una intera definizione. Ogni modifica deve essere motivata in modo adeguato. Niente rassicura i legali aziendali più del sentirsi dire “l’ho riscritto così perché lo dice l’articolo x della legge y”!
Il secondo pubblico verso cui mi sento responsabile sono le persone a cui è destinato il documento: clienti, fornitori o dipendenti dell’azienda, poco cambia. Hanno tutti il diritto di capire senza troppi affanni. Io devo fare quanto possibile perché questo loro diritto sia soddisfatto.
Un’altra parola che per me è importate è “precisione”, che nel mio lavoro di semplificazione del linguaggio vuol dire: tutto ciò che scrivo sarà conforme alla legge. Sembra un concetto scontato, ma i legali hanno il terrore che semplificazione voglia dire scrivere un testo non in linea con quanto prescritto dalla legge.
Raccontami di due libri: quello che hai sul comodino e quello che consigli a tutti di leggere.
Il libro che ho finito da poco di leggere ed è ancora sul mio comodino è Chi è nudo non teme l’acqua, di Matthieu Aikins. Questo giornalista canadese si è finto un migrante e ha seguito Omar, un giovane interprete conosciuto durante la guerra in Afghanistan, nel suo viaggio da clandestino da Kabul verso l’Europa. È un racconto che lascia tante volte con il fiato sospeso: “riusciranno a superare il confine?”, ti chiedi a ogni confine che si frappone tra loro e la meta finale. Il libro è anche giornalismo di inchiesta: ci racconta la devastante realtà, le motivazioni, le emozioni, i terribili ostacoli che vivono sulla propria pelle i migranti. Per questo il libro è anche un’occasione per fare un esercizio che serve a chiunque si occupi di scrittura: non cadere in giudizi superficiali, guardare le cose da un’altra prospettiva e mettersi nei panni altrui.
Il libro che consiglio di leggere è Immagina se..., di Ron Hopkins. Il filo conduttore del libro è una domanda, “come sarebbe se...?”, che l’autore si pone e invita a porci in diversi ambiti della vita umana (la scuola, il lavoro, la mobilità, la gestione degli spazi pubblici ecc.). A ciascuno di essi è dedicato un capitolo, in cui si raccontano progetti realizzati con successo nel mondo grazie a persone che hanno avuto “la capacità di guardare alle cose come se potessero essere altrimenti”. In un’epoca in cui gli eventi ci fanno provare ansia, impotenza e scoramento spesso paralizzanti, penso che abbiamo un bisogno vitale di esperienze e visioni positive che possano ispirare speranza e volontà di cambiare le cose in meglio.
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Lavoro stupendo e più che mai necessario, grazie per questa intervista!