Parliamoci chiaro
Eliminiamo l'oscurità dal linguaggio grazie alla luce delle parole semplici. Ma quali sono, queste parole? E quando è il momento migliore per usarle?
La scorsa settimana è successo qualcosa di bizzarro, almeno per questa newsletter. Le persone iscritte sono passate da 984 a 1705 da un giorno all’altro. Ringrazio
, , , , e per le parole gentili con cui consigliano di leggere Alternate Takes, e ringrazio soprattutto voi che siete qui: spero vi piaccia restare.Visto che le persone nuove sono tante ne approfitto per dei promemoria.
Si può ancora scaricare l’ebook con il meglio di Alternate Takes 2023 in PDF o in ePub.
Si può leggere la prima intervista della serie “Scrivere di”: Barbara Sgarzi ci parla della sua scrittura intorno al vino. Il prossimo appuntamento con “Scrivere di” è per il 4 febbraio: incontreremo una ghostwriter.
Ho giurato e spergiurato che avrei scritto un articolo approfondito sul mio intervento ad Architecta dello scorso ottobre e non l’ho fatto. Qualche persona, però, me l’ha chiesto: d’accordo con lo splendido board, quindi, metto a disposizione le slide. Come vedrete sono verbosissime, l’abc del “non si fa”, ma in questo caso torna comodo.
Tuttavia, tanto per non fare gli struzzi, è bene ricordare che Substack non è candido come un giglio, e la notizia circola da un pezzo. Queste sono cose che mi fanno sentire tutto il peso di avere una voce insignificante: sto a vedere che succede e intanto vado avanti.
Sulle parole: semplici e chiare
“È importante usare un linguaggio chiaro”, “scegli parole chiare”, “evita i tecnicismi, usa parole semplici e comuni”. Facile, no? L’evidenza che non lo sia è sotto i nostri occhi, tutti i giorni. Quali sono le parole semplici e comuni? E come facciamo a sapere se e quando sono proprio quelle adatte alla situazione in cui ci troviamo?
Facciamo chiarezza
Che cosa è chiaro? È l’opposto di oscuro: può essere luminoso, se parliamo di una stanza chiara, trasparente, se parliamo dell’acqua; un suono chiaro si fa sentire in modo distinto, mentre parlare chiaro implica esprimersi con franchezza. Se scegliamo un significato più figurato avere idee chiare vuol dire non essere confusi, mentre un discorso chiaro è facile da capire; un no chiaro e tondo è inequivocabile, ben determinato, e quando mettiamo in chiaro una cosa la mostriamo per ciò che è veramente. Nei messaggi in chiaro non c’è niente di cifrato, di nascosto.1
Eppure su poche cose rischiamo di fraintenderci come sulle parole chiare. Ma poi: chiare per chi? Il primo errore è pensare che si possa stabilire a priori cosa sia chiaro, specialmente per gli altri. Abbiamo una quantità di impliciti, di parti del discorso o di conoscenze date per scontate che possono non rendere affatto chiaro ciò che vogliamo dire.
Mia madre insegnava alle scuole medie. Una delle cose che mi ha ripetuto più spesso è: non chiedere “hai capito?”, chiedi “mi sono spiegata?”, facendomi notare che ho la responsabilità di scegliere le parole adatte a chi mi ascolta, di fare in modo che la comprensione sia alla sua portata.2
La chiarezza, dicevamo, non si stabilisce dall’alto. Cosa possiamo fare, quindi?
Conoscere chi incontrerà le nostre parole. Capire i destinatari, il loro modo di ragionare, le motivazioni che li portano a leggere ciò che abbiamo scritto, ci aiuta a scegliere le parole più adatte.
Tenere conto del livello di conoscenza dell’argomento. Scriviamo di medicina per primari d’ospedale o per pazienti che cercano informazioni su come svolgere le analisi?
Conoscere il contesto in cui le nostre parole saranno incontrate. È una situazione carica d’ansia? Quanto tempo ha a disposizione chi legge per decifrare il nostro messaggio? È un contesto già carico di altre informazioni o stimoli?
Poi abbiamo a disposizione qualche strumento.
Il vocabolario di base
Il vocabolario di base raccoglie in un insieme unitario due categorie di vocaboli: 1) i vocaboli di maggior uso nei testi di una lingua in un dato momento storico, di cui danno conto i cosiddetti dizionari di frequenza delle varie lingue; 2) i vocaboli che, anche se in realtà poco usati parlando o scrivendo, sono percepiti e sentiti da chi usa una lingua come aventi una disponibilità pari o perfino superiore ai vocaboli di maggior uso. I vocaboli di maggior uso sono ricavati dall’analisi statistica dei testi o di un campione di testi di una lingua. I vocaboli di maggiore disponibilità sono ricavabili soltanto da un’indagine su parlanti viventi al momento dell’indagine.
Nel 2016 Tullio De Mauro spiegava nel dettagli la costruzione del Nuovo vocabolario di base della lingua italiana. Le parole fondamentali, un sottoinsieme del vocabolario di base, sono circa duemila: si tratta dei «vocaboli di massimo uso che in tutte le lingue da soli tendono a coprire mediamente circa il 90 per cento delle occorrenze di parole in testi e discorsi». Complessivamente, le parole del vocabolario di base sono circa settemila. Il vocabolario di base e il vocabolario comune – che conta circa 45000 vocaboli – formano insieme il vocabolario corrente.
Gli indici di leggibilità
Gli indici di leggibilità sono misure standardizzate che si usano per valutare la facilità di lettura di un testo, sulla base di criteri diversi. Tra i più noti:
Indice di Flesch Reading Ease (FRE): misura la facilità di lettura di un testo. Utilizza la lunghezza delle frasi e il numero di sillabe per parola.
Indice di Flesch-Kincaid Grade Level (FKGL): stima il livello di istruzione necessario per comprendere un testo. Si basa su frasi e sillabe per parola.
Gunning Fog Index: valuta la complessità di un testo, considerando la lunghezza delle frasi e la frequenza delle parole complesse.
Indice SMOG (Simple Measure of Gobbledygook): misura il livello di istruzione necessario per comprendere un testo, concentrato principalmente sul numero di parole complesse.
Questi indici sono prevalentemente calibrati per la lingua inglese, ma alcuni possono essere adattati o hanno equivalenti per altre lingue. La scelta dell'indice da utilizzare può dipendere dal contesto specifico e dall'obiettivo della valutazione della leggibilità.
Per l’italiano esiste l’indice Gulpease, che calcola la leggibilità di un testo sulla base della lunghezza della parola in lettere e della lunghezza della frase in parole rispetto al complessivo numero di parole.
Giocare con il limite
Una delle obiezioni più frequenti sull’uso del linguaggio chiaro e semplice è che è limitante: un paradosso, se si pensa che serve a rendere più accessibile idee, comunità, servizi. E cosa succede se usciamo dall’orizzonte delle scritture non narrative? Se ti dessero 236 parole per scrivere un libro per bambini in grado di tenerli incollati alle pagine, per esempio, come te la caveresti? Se ti sembra un limite insormontabile ti aspetto dopo gli esercizi per raccontarti una storia famosa.
Vuoi lavorare sulla chiarezza dei tuoi testi? Scrivimi, possiamo parlarne.
Esercizi
Immagina di dover creare una newsletter per la tua biblioteca. Leggi i profili (personas, tecnicamente) che trovi in questo articolo e prova a capire come sarebbe opportuno esprimersi per andare incontro a queste persone.
Cerca il manuale di istruzioni della Tv, se non ce l’hai prova con quello del forno, o della lavatrice. Trova un paio di istruzioni di media lunghezza che puoi riscrivere con parole più chiare. Poi acchiappa qualche tredicenne3 o qualche settantenne e fagli leggere il testo che hai riscritto. Per loro era chiaro? Prendi nota di cosa ti dicono.
Se vai in una sala d’attesa – dal medico, alle poste, in banca – guardati attorno e osserva i messaggi che sicuramente saranno appesi alle pareti. Lascia perdere le pubblicità, cerca quelli su cui c’è scritto ATTENZIONE, perfetto segnale che ci sarà qualcosa da riscrivere. Cosa cercano di dire? Come potrebbero dirlo meglio? Rispondi alla seconda domanda solo dopo aver studiato le persone nella stanza e fatto qualche ipotesi su cosa potrebbe essere chiaro per loro.
Hai provato a svolgere uno degli esercizi e vuoi parlarmene? Rispondi a questa email, sono contenta di discuterne insieme.
Un libro
Negli anni Cinquanta, negli Stati Uniti, si discuteva con gran preoccupazione sia sulla qualità dei libri per bambini nelle scuole, sia sui metodi per insegnare a leggere. Da un lato c’erano solo personaggi sempre educati e dal linguaggio inverosimile, irrimediabilmente noiosi, a differenza di ciò che si poteva invece trovare in libreria e nella realtà; dall’altro si riscontrava un’evidente difficoltà da parte dei bambini a imparare a leggere. Il direttore della Houghton Mifflin, William Spaulding, sfidò Dr. Seuss a scrivere un libro che non solo fosse divertente e interessante per i bambini, ma che utilizzasse anche un vocabolario limitato e adatto ai giovani lettori4.
Spaulding fornì a Seuss una lista di qualche centinaio di parole adatte ai bambini in età scolare. Ogni volta che ha raccontato l’aneddoto, Seuss ha riferito un numero diverso di parole nella lista: stiamo nella media, e diciamo che ne avrebbe potuto usare tra le 200 e le 250 da un elenco tra le 300 e le 400. Accettò la sfida e riuscì a usare solo 236 parole per creare la sua storia. The Cat in the Hat ebbe un immediato successo sia di critica che di vendite, e fu il primo titolo della collana Beginner Books di Random House, attiva ancora oggi.
Seuss raccontò in molti modi diversi come concepì il libro. Secondo la storia più comune, era così frustrato dalla lista di parole che Spaulding gli aveva dato che alla fine decise di creare una storia con le prime due parole della lista che facevano rima: erano cat e hat. C’è anche un altro aneddoto interessante che riguarda l’Everest: puoi leggerlo direttamente su Wikipedia.
Leggi anche » Dr. Seuss and the 236 Words that Changed Reading Forever
Qualcosa di utile
Ho scoperto Monica grazie a una newsletter di qualche tempo fa di
, a cui ho scritto subito per ringraziarla e dirle “è una droga!”. Non ho scavato a fondo in tutti i suoi possibili usi eppure la trovo già un’ottima spalla. Sto usando la versione gratuita: quella a pagamento non è economica e per ora non la sfrutterei. Dalle una chance, ne vale la pena. Sul sito trovi anche molta documentazione e diversi tutorial.Tre link
Poor schemas, poor cataloguing: why music tagging sucks: ossessivi e ossessive degli archivi digitali ordinati, venite a me.
Make Classics, Not Content: prenderla larga per dire che, quando pubblichiamo qualcosa, più della frequenza vale la qualità.
Film sugli scrittori (e una manciata di scrittrici)! Leggete anche i commenti, per una lista più ricca.
In ascolto
Se usi Spotify puoi salvare la playlist.
Note
Per amor di cronaca, mi diceva anche che dire “hai capito?” faceva sentire un po’ scemo chi magari non aveva capito, e questo era meglio evitarlo proprio. Poi una finisce a fare il mestiere che fa, eh, mamma?
Qualche tredicenne che hai il permesso di acchiappare, non farti arrestare, eh.
L’editore aveva letto anche Why Johnny Can't Read—And What You Can Do About It di Rudolf Flesh, che guarda caso è tra gli ideatori di un indice di leggibilità, come dicevamo.
Conoscere chi incontrerà le nostre parole, tenere conto del livello di conoscenza dell’argomento, conoscere il contesto in cui le nostre parole saranno incontrate: ho tirato un enorme sospiro di sollievo accorgendomi che nella prima ora di un corso di formazione (e talvolta anche prima di iniziare anticipando l'anticipabile), seguo sempre questi tre passi.
Molto interessante, Letizia. Grazie per avermi ricordata 'a casa tua', ma è solo mio il piacere di leggerti. Oltretutto, chiarezza e precisione mi interessano da sempre; amo esplorarle nell'ambito della didattica (della matematica e delle scienze) e rilevare come molte delle proposte standard confondano i due piani. In questo, il Calvino 'americano' potrebbe essere di grande aiuto...