Tutte belle parole: cosa nasconde un eufemismo
Gli eufemismi nascono per buone intenzioni ma, come proverbialmente succede, non sempre ci portano alla destinazione più desiderabile.
Ragionavo sul prossimo anno di questa newsletter (di già? di già!) e il tuo aiuto mi sarebbe utile, se puoi. Il sondaggio su Alternate Takes è ancora attivo, se non hai risposto. Poi vorrei farti una domanda più specifica.
Grazie. E ora cominciamo.

Sulle parole: indorare la pillola
In certe circostanze andare dritti al punto con le parole ci sembra aspro o sconveniente: allora le ammorbidiamo, le sostituiamo con alternative che consideriamo più tollerabili.
Usiamo un eufemismo: una figura retorica che serve ad attenuare l’impatto di un concetto, di un’idea. Le sue radici sono nel senso di decenza, nell’educazione, nel rispetto della sensibilità del prossimo, secondo il nostro giudizio: questo è l’innesco per questa sorta di censura di parole ritenute inopportune. Il nostro giudizio, però, oltre che spesso sbagliato, è qualcosa di molto volubile. Le censure scattano anche per paura di ciò che le parole evocano: si tende a non chiamare col loro nome fatti ed eventi sgradevoli o infausti1.
Usiamo eufemismi per parlare di morte, per esempio: data la sua ineluttabilità e il dolore che provoca, è tra le parole che più evitiamo di pronunciare in modo diretto. Ne parla
nel suo articolo “Perché non riusciamo a dire “morte”, ed è un problema” per RSI:mi sono resa conto di quanto la morte sia assente nella nostra società occidentale: non la vediamo più, l’abbiamo ospedalizzata, medicalizzata, invisibilizzata. Anche quella dei nostri animali domestici è nascosta. C’è sempre qualche filtro, qualche tramite. Così cerchiamo di esorcizzarne la paura: fingendo che non esista.
Nell’etimologia di “eufemismo” c’è l’“usare buone parole, di buon auspicio”2: attenuiamo i significati per scrupoli morali, per riguardi sociali. Sfumiamo il significato, fino a offuscarlo. Perdere qualcuno è un eufemismo che si concentra su chi rimane e vive il lutto, piuttosto che sull’evento della morte stessa. Ci ha lasciato sottolinea la separazione emotiva, invece.
Gli eufemismi nascono per buone intenzioni ma, come proverbialmente succede, non sempre ci portano alla destinazione più desiderabile. Scivolare dall’eufemismo al velamento e alla dissimulazione infatti, è molto facile: gli eufemismi finiscono per nascondere la vera natura di una situazione, mascherano la realtà al limite della manipolazione; finiscono per nascondere ciò che veramente si pensa o accade.
Eufemismi al lavoro
Negli anni in cui lavoravo in uno schietto e ironico ufficio marketing, sapevo che quando tra noi ci dicevamo “ti offro una splendida opportunità” intendevamo rifilare una straordinaria fregatura. Fuori dal conteso in cui tutti sono al corrente di questa doppiezza, la frase poteva apparire magari banale, ma non necessariamente in malafede. La sua doppiezza non era leggibile da tutti.
Trovo più insidiose le formule che suggeriscono un approccio positivo facendo leva sulla motivazione e arrivano da una posizione di potere. Se il tuo capo ti dice “allora, accetti la sfida?”, ti sta proponendo3 di imbarcarti in qualcosa di complesso ma non per forza negativo e tu, forse, spinta dall’entusiasmo implicito nella formulazione della domanda, saresti incline ad accettare. Ma potresti davvero dire “preferirei di no”, senza essere Bartleby?4
Se una collega mi dice, con intento evidentemente scherzoso, “ti offro una splendida opportunità!”, le rispondo, ridendo, “sentiamo la fregatura che vuoi rifilarmi!”, ma siamo complici. Se qualcuno in una posizione di potere mi dice “accetti la sfida?”, spesso sono costretta a limitarmi a sollevare un sopracciglio, non potendo neanche ricorrere a un eufemismo per ciò che veramente vorrei rispondere.
Potere, diseguaglianza, privilegio
L’impatto di un eufemismo dipende, quindi, anche da chi lo pronuncia. Ridi se la collega ti offre un’opportunità, potresti essere in difficoltà se il capo ti propone una sfida.
Allargando l’inquadratura, dobbiamo considerare che chi detiene il potere spesso controlla il linguaggio con cui le realtà sociali e politiche vengono descritte. L’uso di eufemismi, in questo contesto, va oltre il semplice desiderio di attenuare o addolcire espressioni difficili: diventa uno strumento di gestione delle percezioni e di manipolazione del discorso pubblico, con implicazioni sociali, politiche ed economiche.
Chi controlla il linguaggio può plasmare la percezione della realtà. I governi, le aziende e le istituzioni spesso utilizzano eufemismi per minimizzare o distogliere l'attenzione da situazioni scomode o impopolari: ristrutturazione aziendale per i licenziamenti, azione militare mirata per la guerra, austerità per tagli ai servizi sociali. Questo meccanismo consente di mascherare la verità, rendendo meno evidenti i lati negativi di una situazione.
Gli eufemismi vengono usati anche per ammorbidire il significato (o offuscare la comprensione?) di decisioni impopolari che potrebbero suscitare reazioni negative o proteste. Usando parole più neutre o positive, si riduce la percezione delle conseguenze negative di queste decisioni: il linguaggio nasconde la vera natura della decisione, rendendola più accettabile o difficile da contestare.
Questa pratica rafforza la disuguaglianza di potere: chi detiene l'autorità riesce a imporre la propria versione della realtà, riducendo le possibilità di resistenza da parte di chi subisce le conseguenze.
Gli eufemismi non solo mascherano la realtà, ma spesso contribuiscono anche a legittimare chi detiene il potere. Espressioni come austerità anziché “tagli ai servizi sociali” o “riduzione della spesa pubblica” danno un tono tecnico, autorevole, razionale e persino necessario a decisioni politiche che potrebbero avere un impatto devastante sulla vita delle persone.
Queste scelte linguistiche sono spesso presentate come inevitabili o tecnicamente corrette, e distolgono l'attenzione dai conflitti di classe o dalle responsabilità politiche. Di conseguenza, chi detiene il potere può giustificare più facilmente le proprie azioni senza affrontare in modo diretto le implicazioni morali o sociali.
Gli eufemismi alimentano la disuguaglianza linguistica tra chi ha accesso a informazioni chiare e chi riceve versioni edulcorate. Le persone con minore capacità di decodificare gli eufemismi o privi di accesso a versioni più trasparenti della realtà, possono essere più vulnerabili a queste manipolazioni linguistiche.
Rischi
L’uso sistematico di eufemismi può portare a una forma di doublethink (pensiero doppio5), in cui le persone sono indotte ad accettare simultaneamente due verità contrastanti. Per esempio, un dipendente potrebbe accettare l'idea che il proprio lavoro sia stato assorbito (un eufemismo per dire che è stato eliminato), ma allo stesso tempo riconoscere l'ingiustizia della situazione. Il doublethink riduce la capacità di opporsi al potere, perché rende difficile confrontarsi apertamente con la realtà.
Attraverso l'uso di parole attenuate, la realtà viene gradualmente distorta e normalizzata, riducendo la capacità delle persone di reagire emotivamente e moralmente a eventi che richiederebbero attenzione e azione. Questo fenomeno può portare a una perdita di consapevolezza critica e a una crescente accettazione di situazioni che altrimenti verrebbero percepite come intollerabili.
La desensibilizzazione legata all'uso degli eufemismi è un fenomeno insidioso che ha implicazioni profonde sia a livello individuale che collettivo: più ne sentiamo, più la nostra indifferenza aumenta. L’uso continuo di eufemismi come danni collaterali, sacrificio necessario per riferirsi alla morte di civili, per esempio, porta a una dissociazione emotiva: la percezione del dolore o dell'ingiustizia è attenuata perché il linguaggio ha eliminato la componente cruda della realtà. Il linguaggio trasforma la realtà rendendola più gestibile dal punto di vista psicologico, ma non sempre è un bene.
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Esercizi
Apri un giornale, prendi un evidenziatore. Sottolinea tutti gli eufemismi. Prova a riformularli in modo più aderente alla realtà. Osserva l’effetto.
Rifletti sul tuo modo di parlare. Quali sono le parole che in genere eviti di pronunciare?
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Un libro
Se non hai mai letto niente di Campanile rimedia subito, va bene anche qualcosa a caso. Parlando di eufemismi, mi è tornato in mente La televisione spiegata al popolo, che raccoglie le sue cronache settimanali pubblicate per l’Europeo tra il 1958 e il 1975: «fu tra i primissimi a doversi confrontare, da critico e umorista a un tempo, con uno strumento versatile, ma di cui ancora non si conoscevano né la natura né le potenzialità, né, ovviamente, quale poteva essere la sua incidenza sui costumi degli italiani.»
Indice di gradimento. Eufemismo per indicare le telefonate ingiuriose che arrivano alla TV. Vari termini tecnici della TV si ispirano alle dita; così indice di gradimento, pollici (diciassette o ventiquattro), ecc. Talvolta la “mano” televisiva ha diciassette pollici e nessun indice (di gradimento). Spesso l'indice (di gradimento), per il medio (pubblico), equivale al pollice (verso).
Qualcosa di utile
Potresti avere intuito che con la cancelleria non ho un approccio minimalista. Quando lavoro fuori casa, in base a cosa devo fare, ho dei kit di primo soccorso pronti all’uso.
Se prevedo esigenze di scrittura minime: portapenne con banda elastica da attaccare al quaderno. Dentro metto una penna, una micromina, un righellino e una gomma.
Se prevedo intensi appunti o un periodo lungo lontano da casa: astuccione in grado di contenere molti generi di conforto, evidenziatori, temperamatite, penne colorate.
Sei una persona da penna biro lanciata in borsa che si adatta a scrivere sul retro degli scontrini? Non farmelo sapere.
Tre link
Come funzionano le biblioteche in Cambogia?
Come funziona Goolge Maps in India?
«Essere disorganizzati è diverso dall'essere smemorati. Le persone smemorate possono spesso gestire un insieme di compiti distinti se ricevono i giusti stimoli. Le persone disorganizzate, invece, spesso faticano con la sequenza delle attività o non sanno come mettere le cose in un certo ordine.» Be Organized from the Very Beginning
In ascolto
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Note
Per avere riferimenti culturali sempre altissimi, pensa a colui che non dev’essere nominato: sul potere evocativo del nome “Lord Voldemort” potremmo scrivere un altro numero.
lo Zingarelli 2022
Con un linguaggio da quiz televisivo ma in genere senza miliardi in palio
C’è anche una variante che punta all’autorealizzazione, che mi è capitato di sentire: “vuoi cogliere la tua occasione per splendere?”. Ma non si sente a orecchio il suono del ridicolo?
Pensiero doppio, in certe traduzioni “bipensiero”: è un termine coniato da Orwell per il newspeak di Millenovecentottantaquattro.
Io odio gli eufemismi. Quando ero piccola quando li usava urlavo a mia madre: “Sei un'ipocrita!”. 💕 Grazie per questa puntata, grazie per la citazione, grazie che scrivi cose così argute e piene di sensibilità.
Aspetto il numero su Lord Voldemort :)