Diverso dal lineare: dare forma alla scrittura
Cosa si può fare quando la struttura e il funzionamento di un supporto in cui inseriamo dei contenuti ci obbliga a trattarli in un modo che ci appare inefficace?
Prima di cominciare, un annuncio: domani comincia l’avventura di
, una newsletter che curerò insieme a Elvira Berlingieri intorno all’intelligenza artificiale. Studiamo l’argomento insieme da qualche tempo e abbiamo deciso di condividere le nostre riflessioni (in inglese) ogni due giovedì: se può interessarvi vi aspettiamo lì. Mentre aspettate il primo numero leggete cosa abbiamo in mente.E ora via!
Avevo annunciato che avrei ripreso il discorso su Artista e designer di Munari, perché il libro non aveva esaurito ciò che aveva da dire*.
Cosa si può fare quando la struttura e il funzionamento di un supporto in cui inseriamo dei contenuti ci obbliga a trattarli in un modo che ci appare inefficace? Se possiamo, cerchiamo un supporto più adatto. Se non possiamo, proviamo a forzarne le regole per migliorare l’esperienza di chi legge e di chi scrive.
Come si fa?
Sulle parole: dare forma alla scrittura
In Artista e designer, nella “Nota sullo schema grafico di questo libro”, Munari scrive:
Normalmente i libri sono impaginati con colonne di testo, larghe in proporzione al formato della pagina, le eventuali note sono stampate a piede di pagina con riferimento ai numeri inseriti nel testo, le fotografie e le didascalie sono di misure varie. Di solito il blocco delle fotografie, per ragioni tecniche, è in un gruppo di fogli a parte. Tutto ciò complica non poco la lettura poiché ogni volta che si trova un numero nel testo occorre andare a cercare la nota corrispondente che non sempre è nella stessa pagina, e altrettanto dicasi per le illustrazioni.
In questo libro ho provato a progettare un nuovo tipo di impaginazione come se il libro fosse un unico foglio continuo largo come una pagina ma lungo come tutte le pagine messe una sotto l’altra. Ho cercato di non interrompere il discorso che si svolge tutto assieme fra testo, illustrazioni, note, didascalie di modo che il lettore può avere diversi tipi di lettura: può leggere solo il testo principale che è stampato nella colonna più larga in corpo 10 e guardare le illustrazioni che lo accompagnano; può leggere il testo principale e le note che sono stampate in una colonna più stretta in corpo 8, può leggere tutto anche le didascalie che sono stampate in una colonna più piccola.
L’intero testo completo di illustrazioni, note, citazioni, aggiunte, didascalie, è così disposto tutto in linea continua senza salti o interruzioni, è stato poi tagliato nel formato delle pagine, e il lettore può così scegliere il tipo di lettura, rapida o completa, secondo il suo interesse.
Le consuetudini di impaginazione funzionano bene finché il testo procede in modo lineare e va letto in sequenza, ma sono un limite per contenuti che beneficerebbero di possibilità di organizzazione diverse. “Per ragioni tecniche”, non per ragioni argomentative, le fotografie si mettono a parte – specie se stampate su carta fotografica –, le note sono (quando va bene) al piede della pagina, o alla fine del capitolo, o addirittura alla fine del libro. Senza nemmeno andare alla ricerca di necessità di impaginazione più complesse, abbiamo davanti quattro elementi – testo, immagini ed eventuali didascalie, note – che potrebbero funzionare meglio senza i vincoli dati dalla forma e dal funzionamento del libro.
L’ipertestualità delle note è un buon compromesso, ma è poco pratica, specie se le note contengono digressioni e approfondimenti, e non solo riferimenti o fonti: vediamo l’apice, andiamo nella sezione dedicata alle note, cerchiamo il numero corrispondente, leggiamo, torniamo indietro a ricercare il punto in cui eravamo arrivati.
Munari sceglie di organizzare il testo pensando di offrire al lettore una lettura più comoda e versatile: vuole evitare al lettore le interruzioni date dal dover saltare avanti e indietro tra le pagine del libro e offrirgli la possibilità di scegliere a colpo d’occhio a quale profondità immergersi nella lettura: in modo rapido o completo. Per farlo gioca con la larghezza delle colonne e la dimensione del carattere: si può scegliere di leggere il testo principale saltando il resto oppure leggere anche le altre parti, sapendo che anche nel salto non si perderanno parti fondamentali del discorso.
Munari sente il bisogno di spiegare questa deviazione dalla consuetudine. Non leggendo la nota potremmo rimanere perplessi davanti all’organizzazione della pagina, e magari confondere le parti di approfondimento con citazioni infratesto. Una questione che nel 1971 non si poneva, poi, è: come potremmo realizzare questo libro in digitale?
Se avessimo a disposizione le stesse funzionalità del web avremmo l’imbarazzo della scelta. Ma i formati fluidi per i libri digitali in circolazione nel mercato (principalmente lo standard ePub) sono pensati per obbligare l’ipertestualità dell’HTML di cui sono fatti a imitare la carta, soprattutto nella linearità: di conseguenza ne condividono i limiti. La versione ebook di questo libro, infatti, praticamente non esiste – a meno che non vogliate considerare il fixed layout disponibile solo su Amazon per l’agile peso di 20Mb e rotti. La mia è una deduzione e potrei sbagliarmi, ma nemmeno sul sito dell’editore sono riuscita a trovare informazioni sul formato. Ma questa è un’altra storia, e si dovrà raccontare un’altra volta (cit.)**.
Chissà se Munari ha trovato così scomodo il funzionamento delle note proprio perché aveva bisogno di scrivere approfondimenti, e non riferimenti puntuali, che hanno un impatto molto diverso sulla lettura. Rifletterci mi ha fatto divagare su altri esempi di sfida ai limiti del libro di carta. Siccome l’estate è inoltrata, scelgo il più leggero.
Librigame
I librigame sono di base storie a bivi. Il testo è diviso in paragrafi brevi che si concludono con delle scelte che chi legge deve fare per proseguire nella storia. Possono avere anche meccanismi aleatori (per esempio combattimenti il cui esito è stabilito da un lancio di dadi) e caratteristiche da gioco di ruolo (un personaggio che cresce, guadagna esperienza e abilità).
Altre famose storie a bivi sono quelle pubblicate su Topolino a partire dal 1985: Fumettologica ne ricostruisce la storia, con interessanti riferimenti alle interfacce dei videogiochi, per alcune soluzioni adottate per le interazioni.
Esercizi
Ripensa all’ultima volta in cui ti è capitato di trovare scomoda una lettura. Rifletti su che tipo di testo era, quanto era lungo, su che supporto stavi leggendo, in che contesto ti trovavi. Prova a immaginare: cosa avrebbe potuto rendere comoda quella lettura?
Ripensa all’ultima volta in cui, mentre scrivevi, hai pensato che gli strumenti che stavi usando ti stessero limitando. Rifletti su quale necessità non riuscivi a soddisfare, e sulla soluzione che hai trovato. Ti vengono in mente altre soluzioni?
Hai provato a svolgere uno degli esercizi e vuoi parlarmene? Rispondi a questa email, sono contenta di discuterne insieme.
Un libro (anzi, due)
Content Design e Che cosa vediamo quando leggiamo non sono forse vere e proprie sfide alla forma del libro – alla fine continuiamo a leggerli in modo lineare –, ma sicuramente sono una sfida alle consuetudini della messa in pagina.
Content Design
Mark Hurrel, il designer che ha lavorato a Content Design di Sarah Richards, spiega nel suo portfolio il lavoro fatto sul libro.
Sarah wanted her book to look different to standard tech-industry textbooks. Doing a bit of design research, I was reminded of Marshall McLuhan’s The Medium is the Massage. I had the idea that we could use the structure of Sarah’s writing to illustrate its own meaning.
Working with her editor Giles we sculpted large sections of the book into kinetic mini-posters, which proved very popular on instagram and twitter.
Many of the spreads have since been adapted into posters, and have been translated in several languages.
Il libro sembra introvabile, se non a prezzi senza senso. L’ho letto qualche anno fa e confesso di non aver troppo apprezzato quella che mi è sembrata una sopraffazione della forma sul contenuto: mi ha distratta dalla lettura. Forse è stata anche una questione di aspettative disattese: desideravo un libro che mi guidasse, ho trovato un libro meditativo, incline all’aforisma. Non era il nostro momento.
Luisa Carrada parlava di ritmo visivo della parola scritta, in un post che vale la pena rileggere.
Cosa vediamo quando leggiamo
Che immagini nascono nella nostra mente quando leggiamo? Da dove vengono e come le creiamo? Sono nitide o confuse? Che cosa vediamo quando leggiamo capita alla perfezione dopo i discorsi sulla lettura delle nostre newsletter. Peter Mendelsund racconta e ci mostra quello che succede nella nostra immaginazione mentre leggiamo, in un viaggio tra incipit classici, mappe e citazioni.
La visione (al contrario della descrizione testuale, ndr) è cumulativa e simultanea. Non è che vediamo una sedia e poi stiamo lì ad aspettare per scoprire di che colore sia.
Qualcosa di utile
Adoro ascoltare Podcast, ma raramente posso farlo mentre sono alla scrivania. Quando guido ascolto audiolibri o podcast leggeri, in generale cose per cui non sento il bisogno di prendere appunti. Ma quando ne ho bisogno? Una circostanza scomoda, in effetti. Ho trovato un’app promettente: Snipd. Ti permette di salvare delle clip da cui genera il testo attraverso l’AI, e puoi esportare i contenuti verso la tua knowledge base di fiducia (Notion, Reader, Obsidian e altro). Con l’AI genera anche un indice dell’episodio. Non male.
Tre link
Amazon Replaces Human Authors with AI: un comunicato stampa che non sta circolando da nessuna parte. O forse no.
The Work of the Audiobook: scrivere per le orecchie, e come il mondo della narrazione sta cambiando per via degli audiolibri.
How streaming caused the TV writers strike (video): lo streaming ha rivoluzionato il modo in cui si produce la televisione, il ruolo di chi la scrive e il modo in cui si viene pagati. Alcune interviste per comprendere le difficoltà di questo settore.
In ascolto
Se usi Spotify puoi salvare la playlist.
Note
*«Un classico è un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire», diceva Calvino.
**Michael Ende, La storia infinita.